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A Tellaro con "Ricette di Lunigiana"

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Tellaro, sgabei e tradizione, in un incontro pro-campane
 di Gabriella  Molli
Le campane da restaurare sono state l’input di un incontro sotto un cielo blu con le prime stelle, nella piazzetta dell’Oratorio di Selaa a Tellaro. Incontro a cui ha partecipato Daniela Vettori, sempre attenta agli incontri in cui si parla di storia e di storie di casa nostra (il suo blog – questo blog - ha una caratteristica specifica di indagine e di approfondimento dentro le varie culture gastronomiche liguri e locali). In sintesi l’invito del gruppo di lavoro per la promozione di una ricerca di fondi, che a Tellaro si è attivato sotto la guida di Cesare Battistelli, con nomi come quello di Silvio Vallero e Lauro Cabano, era puntato sul refrain della tradizione. Insomma su cibo-vino-olio, che sono i tre punti forti della storia del territorio lunigianese e della sua convivialità. 
Il libro "Ricette di Lunigiana"

Non poteva mancare perciò un libro uscito presso Cantine Lunae di Paolo Bosoni (Ricette di Lunigiana) e nemmeno un volto di famiglia a parlarne unitamente agli autori (Gabriella Molli, Armando Baldassari, Enrico Calzolari). In questo caso quello di Debora Bosoni, la pupilla che si accinge dopo la madre Iana ad essere la seconda signora del vino di casa. Debora Bosoni ha trasmesso con parole semplici, un messaggio diretto molto ben congegnato sul valore della ricerca enologica di suo padre Paolo. Una storia generazionale quella di questa azienda prima in Liguria, per portare nel bicchiere prima di tutto la cultura del Vermentino. Ma la storia del libro è anche filtrata dalle parole di Enrico Calzolari, studioso d’ambiente (semiologo è il termine esatto) che ha dato una connotazione di particolare valore didattico alle ricette raccolte nel 1996 da Armando Baldassari in un laboratorio di nuova concezione europea all’Alberghiero Casini (Baldassari era docente di sala bar). Ricette che senza l’aiuto di Paolo Bosoni sarebbero rimaste in un cassetto e che sono invece state oggetto di una elaborazione culturale a tre per catturarne gli aspetti di tradizione. Raccolte in un libro-progetto molto elegante. 


Una parte importante dell’incontro l’hanno svolta le donne tellaresi sempre presenti alle iniziative cultural-conviviali, alcune sono proprio storiche, anche per quella gioia che sanno trasmettere. Incantevole il luogo dell’incontro, semplice il menu della serata, iniziata prima del tramonto e terminata a notte fonda: omaggio alla cultura contadina del borgo con il formaggio del pastore (Tellaro è citata nei testi antichi  per la sua formaggetta ai profumi delle erbe aromatiche  di campo, primo fra tutti il timo) accompagnato da un buon pane. E acciughe sottosale con olio di frantoio. E’ questo il secondo elemento che contraddistingue la storia di Tellaro. Olio oggi diventato dop grazie alla ripresa della produzione da parte di un’azienda (Agritur) che ha risanato gli oliveti. I salumi dolci della buona tradizione lunigiananese dell’azienda Giordani che ha sede a Romito Magra e che ha ripreso la via della cultura del maiale come la intendevano in Lunigiana (sale sì, ma con quella misura che non nasconde la dolcezza della carne) hanno conquistato i palati appassionati del settore. Il produttore era presente. E’ da citare che ha esaltato i suoi salumi la magia dell’impasto degli sgabei di Toni: il fornaio di Tellaro che parlava con i bambini della scuola per far loro capire la storia del grano, oggi in pensione.
Gabriella Molli, Daniela Vettori, Debora Bosoni, Enrico Calzolari
Notazione storica
Il nostro storico cibo di strada, è realmente pasta da pane fritta e parrebbe a un primo esame essere sulla scia del trittico del gusto (Liguria-Emilia-Toscana). Ma se pensiamo a un’origine ligure-apuana di questo cibo povero così ricco di apporto calorico (l’olio d’oliva è  sempre stato uno dei “siti gastronomici” che la natura fin dai primordi ci ha fornito) ebbene ci pare conseguente il pensiero, che dopo l’impasto lievitato del pane, la donna abbia pensato a questo “ammazzafame” che anche da solo procurava piacere alla bocca e apporto benefico per l’organismo.
La parola sgabeo, sostiene Giorgio Masetti a pag 40 del libro “Antologia etimologica del dialetto sarzanese” (Agorà Edizioni, 200), è di recente formulazione: prima si diceva “scabeo” da skabellum latino.

La piazzetta dell’Oratorio di Selaa a Tellaro 

  
  


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La Sfogliolata, la focaccia con il basilico della Lunigiana

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LA SFOGLIOLATA
Per sei/otto persone
Ricetta della Tradizione, originaria del levante ligure
e della bassa Lunigiana
Ricetta Vegana
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
500 grammi di farina “0” tipo Manitoba
 ½ cubetto di lievito di birra
 240 gr. di acqua circa
 1 mazzo di basilico ligure
  olio extravergine di oliva ligure maturo
(in alternativa olio di semi di arachide di qualità)
 sale fino marino
 1 goccia di miele o un pizzico di zucchero
Utensili di preparazione e presentazione
La spianatoia
Una terrina
Una tazza
Un cucchiaio di legno
Una teglia antiaderente
Una bottiglietta (o il biberon da cucina)
Il matterello
Un cucchiaino
Un canovaccio
Il coltello
Un tagliere


Procedimento per la preparazione
Mettere la farina nella terrina, aggiungere due cucchiaini di sale fino e mescolare.
Sciogliere mescolando insieme il lievito e il miele (che serve ad attivare il lievito),
nella tazza con l’acqua tiepida, versare al centro della farina e impastare bene.


Lavorare in modo da ottenere un impasto omogeneo e morbido;
 lasciarlo in un luogo tiepido a lievitare al riparo dalle correnti, per 35/40 minuti circa 
(io lo metto nel forno a 30°).  
Sulla spianatoia infarinata, dividere in due la pasta lievitata, 
stendere la prima parte con il matterello e trasferirla nella teglia unta
 con 2 cucchiai di olio evo; distribuire uniformemente le foglie di basilico,
 precedentemente lavate e asciugate all'aria o nella centrifuga per insalata


  e cospargere moderatamente di olio e sale; coprire con l’altra sfoglia, 
con le dita sigillare formando il bordo e lasciar lievitare la Sfogliolata, coperta da un canovaccio, 
ancora 30 minuti. Accendere il forno e portarlo a 250/280°. 
Quando è caldo, formare con la punta delle dita, i buchi caratteristici della focaccia. 
Cospargere con un pochino di olio evo e sale e infornare subito. 
Cuocere per circa 25/30 minuti, fin quando non sarà dorata.


Note:
Ho scoperto questa focaccia, originaria dell’estremo levante ligure e di alcune parti della bassa Lunigiana, parlando con un amico che vive a Nicola di Ortonovo, bellissimo paesino che guarda la vallata del fiume Magra e il mare: a casa la fanno da sempre, anche arrotolandola con una forma che ricorda lo strudel, solitamente da maggio ad ottobre, quando si coltiva il basilico all’aperto, (diverso dal famoso “genovese “in serra, tipico della zona di Prà), utilizzando le foglie più grosse, mentre quelle piccine vengono usate per la preparazione del pesto.






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Il Pesto di Rucola

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LA SALSA ALLA RUCOLA
Ricetta Vegetariana
Senza Glutine
Ingredienti:
3 mazzetti di rucola
 ½ bicchiere circa di olio extravergine di oliva ligure
60 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
½ spicchio di aglio pulito (se piace)
50 gr di pinoli di Pisa o nazionali
½  cucchiaino di sale fino
Utensili di preparazione e presentazione
Un frullatore elettrico
Un coltello
Un contenitore con centrifuga per il lavaggio dell’insalata
Un canovaccio
Un cucchiaio
Un barattolo con coperchio (per la conservazione)


Procedimento per la preparazione
Pulire i mazzi di rucola, eliminando i gambi più grossi e lavarli in acqua fredda;
mettere le foglie ad asciugare su un canovaccio.
Frullare a crema l'aglio (se piace), con i pinoli, un pochino di olio, il sale;
unire le foglie e frullare ancora unendo l'olio evo a filo per legare tutti gli ingredienti;
aggiungere il Parmigiano; assaggiare ogni tanto la salsa per ottimizzare il risultato finale
 secondo il vostro gusto:
Frullare bene e mettere il pesto in un barattolo, 
coprire con altro olio evo e tappare.


Note:
Il pesto si conserva in frigorifero per 7/15 giorni.
E' importante prenderne sempre la quantità necessaria con un cucchiaio pulito
(un cucchiaio colmo di solito è la dose per condire una porzione di pasta),
pulire il bordo del barattolo, coprire nuovamente di olio, tappare.
Si utilizza a crudo per condire diversi tipi di pasta:
le troffie, le trofiette, le trenette, gli gnocchi ecc..






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In nome dei mitili, una disfida tra sei chef del Golfo

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In nome dei mitili, 
una disfida tra sei chef del Golfo
di Gabriella Molli
Lerici. Un club prestigioso con cucina e una disfida per sei chef del Golfo sul tema cucina con i muscoli. La cena denominata “Anteprima di Mytiliade” si è tenuta in un luogo dove si sono alternati nel tempo due ristoranti: il famoso Paolino degli Strambi e Dar Prado, dove ha operato fino a qualche tempo fa con passione un giovane chef di radici lericine con il suo team. 
L’Associazione Marinai d’Italia (ANMI Lerici) ha “prestato” all'amministrazione comunale
 il suo “gioiello” dove tiene oltre a riunioni conviviali, anche prestigiosi incontri culturali. 
E tutti, dal Presidente agli associati volontari, si sono adoperati per rendere l’atmosfera straordinariamente in linea con la disfida. 
Dalle apparecchiature, alla disposizione dei tavoli, tutto ha parlato di convivialità e di buongusto. 
Anche la rosa rossa per le signore presenti alla cena. 

Gli chef in gara con Sandra Ansaldo, in basso Gabriella Molli, a destra Bruno Panzanato

La presenza di autorità eccellenti ha dato prestigio alla serata in cui tutto era stato programmato,
 dal Comitato organizzatore presieduto dal vice-segretario Elisa Graceffa, 
che vede affiancata nell’edizione 2014 anche l’Autorità Portuale e Voiello-Barilla. 
Tutti insieme per rendere questa Mytiliade 2014 un contenitore di qualità. 
La manifestazione sarà infatti la bandiera della Regione Liguria,
 per quanto riguarda il mare, all’Expo 2015
Del Comitato che affianca la dott.ssa Graceffa fanno parte anche alcuni esperti che sono stati determinanti nella scelta e nella parte organizzativa di questo primo incontro, 
appartenenti a un’associazione nazionale che opera anche a livello mondiale 
e ha ben precisi i termini di quel concetto guida che sottende una alimentazione 
finalizzata al benessere, con un occhio attento agli aspetti sociali 
che possano garantire cibo buono, pulito e giusto a tutti.
 A loro si deve la perfetta riuscita del modulo di disfida.
 Gli chef del Golfo hanno dimostrato una coralità che ha reso l’atmosfera molto piacevole. 
I sei piatti sono stati accompagnati da vini del territorio.
Una delizia di “fregula” stile sardo che ha visto i muscoli accompagnarsi a delicatissime schegge di seppioline in un abbraccio di olio al basilico, ha affascinato i palati: così il primo premio è andato allo chef del Creuza da Maury di San Terenzo, Maurizio Stella
Che ha giocato su un antico piatto siglato sulla fregola sarda. 
In genovese, dice lo studioso Sergio Rossi, oggi identificata con il termine “scucuzù”, 
che di fatto viene anche chiamato con termini diversi, ma è comunque una spia antropologica di una Liguria che ha dato ampio spazio alla gestualità per fare le paste fresche, battendo altre regioni. 
Ebbene la fregolina di Maurizio ha incantato per l’associazione dei muscoli, 
con filettini delicati di seppia e per un olio di basilico veramente leggero anche se avvolgente. 


Duro il confronto con il piatto del secondo classificato:


Emiliano Borghesi di “Bontà nascoste” (Lerici).
 La sua Zuppetta, addolcita esteticamente con germogli e piccoli fiori eduli, 
aveva quel tocco di golfo che raramente s’incontra oggi nei ristoranti. 
Quindi è stato difficile scegliere. 
Terzo classificato Davide Parma, del ristorante "Il Timone Liguria da gustare" di Portovenere,
 con Insalata di muscoli, dadolata di finocchi sbianchiti, passata di pomodoro a crudo
 e cips di buccia di pomodoro fritta. 
A pari merito gli altri ugualmente bravi e creativi chef: 
Elena Trusendi, del Ristorante Jimmy's Porto Mirabello - La Spezia
  Quasi testarolo con cannellini e muscoli stufati; 
Andrea Bonfanti del ristorante Ristrò – La Spezia 
Vellutata di ceci, spuma all'aglio, gelatina di pomodoro e pesto di erbi;


Michel Benedini del Delfino di Tellaro
Crema di zucchini e patate,  gnocchetti allo zenzero, muscoli e menta glaciale. 
 Tutti entrati nella giocosa disfida, con qualche tocco di novità molto apprezzato
 e con una “ispirazione” a quella che è da considerarsi la tradizione del golfo che vuole gusti netti 
e mai coprenti il gioiello “muscolo” che la natura ci ha regalato. 
Il vincitore prenderà parte alla disfida che si terrà al castello di Lerici durante la kermesse
 e che vedrà sul campo chef nazionali. 

Gli Chef del I° Palio Gastronomico del Golfo e Achille Lanata (Biscotto)




         

Prescinsêua

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Prescinseua
di Gabriella Molli

Aver trovato la Prescinsêua  nella ricetta dolce di Daniela, mi ha portato lontano con la testa. Ai tempi in cui mio nonno mi raccontava che gli eroi bevevano latte. E quando leggo da Sergio Rossi che la prescinseua era in quel di Genova, latte rappreso che i contadini scendevano a vendere in città, mi viene in mente un’immagine lontana lontana di mia nonna che faceva il formaggio. C’era un momento in cui si fermava e raccoglieva dal liquido caldo le prime formazioni globulose in una tazzetta, vi buttava sopra un velo di zucchero e mi dava da mangiare una cosa morbidosa, molle, tenerissima di cui ancora, nel ricordo, percepisco la nota fresca e lievemente acidula. Era la stessa cremina che qualche volta mi metteva la sera nella tazza di polenta dolce di castagne al tramonto del sole. Era la mia cena. Non c’era altro da mangiare, ma che delizia. Non mi sono mai lamentata della ripetitività di quella consuetudine.
Anni dopo, quando ho cominciato a interessarmi di genealogia dei sapori ho esplorato la convenienza per la donna genovese di aggiungere la cosiddetta prescinseua al pesto. E a discuterne con i vari osti genovesi il cui pesto mi aveva dato sensazioni piacevolissime. So che sul primo momento la mia curiosità era interpretata molto male. Ma poi si “ammorbidivano” e parlavano. Fu un modo per catturare la storia del percorso di un’aggiunta di Genova e del suo Levante, che ritengo una grande conquista. La Prescinsêua, infatti, ha (a mio avviso) il compito di ammorbidire la mineralità del basilico e anche la piccantezza dell’aglio. Non basta la sola correzione del formaggio e dei pinoli. 


Persino in Sardegna, a Villanova Tulo, nella profonda Barbagia dove mi trovavo, verso sera andavo a prendere un formaggio molle, a falde, acidulo, da aggiungere al “minestrone” verde che la mia consuocera preparava con bietole giganti.
Poi, recentemente, esce “La cucina dei Tabarchini” di Sergio Rossi e a pagina 140 ritrovo questa storia del latte rappreso, venduto in questo caso a Carloforte per strada da ragazzini con la farinata.
La curiosità è diventata ancora più grande quando fra le mie esperienze c’è stata quella di un viaggio in Tunisia. Dove, putacaso, ho trovato una crema di latte acidulato, servita accanto a bietole lessate. Forse la coincidenza è legata a un singolo chef evoluto, mi sono detta andando sulla strada di una interpretazione dei sapori. Ma sempre domandando come è mia consuetudine (sfinendo la gente) ho saputo che è ricorrente l’uso di servire questa particolare crema di latte anche con altre verdure cotte, compresi i fagiolini e la barbarossa.
Fin qui mi sono addentrata in una analisi del fenomeno Prescinsêua attraverso considerazioni su gusto e sapori. Ma poi mi sono detta: perché non guardarlo secondo l’ottica delle offerte alla dea madre dei primordi della vita?
Sul latte, leggo sul “Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze” di Corinne Morel (Giunti, 2004):
Latte, dal latino, lactis. Il nutrimento originale e sacro
In quanto primo nutrimento degli uomini e degli animali, il latte appare l’elemento primordiale e cosmogonico che permette il ritorno allo stato di purezza originale. La sua bianchezza ne aumenta ancora di più il significato di dolcezza, di pace, di quiete.

Poi, più avanti, trovo una funzione magico-scaramantica del latte che mi fa attribuire alla prescinseua aspetti nuovi:
dappertutto è invalso che i demoni e gli spiriti maligni temano il latte, poiché la sua purezza ha la capacità di sconfiggere le loro energie negative.
Insomma la storia della Prescinsêua potrebbe ricongiungersi con quella dell’aglio.
Le donne genovesi amavano seguire queste strade? So bene che non è ben documentata questa mia teoria, ma come dice la Tannahill, bisogna cercare una probabilità per continuare a darsi delle spiegazioni. A credere che caso e necessità (come dice Maurizio Sentieri) hanno sì veramente guidato la storia dei fenomeni gastronomici. Ma io credo che in questi percorsi vi sia una presenza di miti, leggende, racconti che rigurgitano di simbologie e credenze. Da non trascurare.







Trofie estive in insalata

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TROFIE ESTIVE IN INSALATA
Per quattro persone
Ingredienti:
250 gr di trofie (pasta fresca o secca)
4 pomodori maturi da insalata preferibilmente "cuore di bue"
 (altre verdure crude a piacere)
1 bel ciuffo di basilico 
1 manciata di olive taggiasche snocciolate
1 spicchio d'aglio
4 filetti di acciughe salate
2 uova sode
Olio extravergine d'oliva ligure
Sale e pepe q.b.
Aceto di vino se piace
Utensili di preparazione e presentazione
Una pentola
Il colapasta
Un coltello
Un bollitore o pentolino
Una insalatiera


Procedimento per la preparazione
Mettere lo spicchio di aglio in infusione nell’olio evo prima di utilizzarlo. 
Nel bollitore rassodare e poi raffreddare le uova; togliere il guscio. 
Dissalare le acciughe e tagliarle in filetti. 
Pulire e tagliare tutte le verdure e le foglie di basilico, tenendo qualche fogliolina intera;
cuocere la pasta in acqua salata, raffreddare sotto il getto d’acqua del rubinetto e scolare bene. 
Disporre le verdure nell'insalatiera, unire la pasta, le acciughe,
 le uova tagliate a spicchi, le olive e le foglioline di basilico rimaste intere. 
Condire secondo il proprio gusto.
 Prima di servire lasciare riposare l'insalata di trofie per almeno una mezz'ora
conservandola al fresco, ma non in frigorifero.







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Trenette Tonno, Zenzero e Pesto di Mandorle

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TRENETTE TONNO, ZENZERO FRESCO
 E PESTO DI MANDORLE
Per quattro persone
Ingredienti:
350 gr di trenette (pasta secca)
Un trancio di tonno sott’olio, circa 300 gr
(oppure filetti di tonno in barattolo)
Una radice di zenzero, 40 gr circa
40 gr di mandorle sgusciate non pelate
Un rametto di origano fresco
Olio extravergine di oliva
Sale q.b.




Utensili di preparazione e presentazione
Una pentola
Un tegame largo e capiente
Un cucchiaio di legno
Un pelapatate
Un coltello
La grattugia
Il colapasta
Procedimento per la preparazione
Con il pelapatate eliminare la buccia allo zenzero e poi grattugiarlo.


 Mettere nel tegame il tonno con due cucchiai di olio extravergine di oliva,
 ad ammorbidire a fuoco dolce, mescolando e aggiungendo ogni tanto un po’ d’acqua. 


Tritare le mandorle. Cuocere la pasta, al dente mi raccomando! 
Scolare le trenette, conservando un po’ di acqua di cottura.


 Unire al tonno, la polpa del ginger, le mandorle e qualche foglia di origano fresco. 
Solitamente non aggiungo sale, perché il tonno è già molto saporito, 
ma regolatevi secondo i vostri gusti.
Unire al condimento le trenette, far saltare o mescolare bene 
(aggiungendo se fossero troppo asciutte, un pochino di acqua calda).
 Servire.









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Il Minestrone Genovese

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MINESTRONE GENOVESE
Ricetta Vegetariana
Senza Glutine
Per quattro/sei persone
Ingredienti:
Una cipolla rosa
Uno spicchio di aglio
Due coste di sedano
Due carote
Due patate medie, tre se volete un minestrone più denso
150 gr di fagioli borlotti freschi oppure
100 gr di fagioli secchi ammollati il giorno prima e lessati
200 gr di cavolo secondo la stagione
150 gr di fagiolini in erba
200 gr di zucca e/o zucchini
200 gr totali di verdura di stagione reperibile a piacere
25 gr di funghi secchi, se piacciono (io li utilizzo talvolta in inverno)
Un ciuffo di basilico
2 cucchiai di pesto
200 gr di riso o pasta corta (facoltativo)
Olio extravergine di oliva
Sale q.b.


Utensili di preparazione e presentazione
Un coltello
Un pelapatate
Una terrina
Un tagliere
Lo scolapasta
Una pentola dai bordi alti con il coperchio oppure,
per dimezzare i tempi, la pentola a pressione
Un cucchiaio di legno
Un mestolo


Procedimento per la preparazione
Lavare e/o pulire tutte le verdure. (Mettere a bagno i funghi secchi). 
Tagliare a pezzetti la cipolla, il sedano, la carota; 
mettere al fuoco la pentola con qualche cucchiaio di olio evo,
 unire le verdure con un po’ di sale e farle stufare dolcemente,
 girandole per qualche minuto; 
unire l’aglio tagliato finemente, le verdure rimaste
 (eventualmente i funghi strizzati e tritati),
 le foglie di basilico e continuare a girare per qualche minuto. 
Coprire a filo, con acqua calda tutte le verdure e cuocere con il coperchio,
 a fuoco basso per almeno un’ora (mezz'ora nella pentola a pressione). 
Se necessario aggiungere un pochino di acqua calda.
 Unire quindi la pasta o il riso e portare a cottura. 
Togliere dal fuoco e aggiungere il pesto. 
Rimestare, regolare eventualmente di sale e servire.


Note:
Il minestrone genovese era conosciuto in tutto il mondo 
(come molte altre prelibatezze), 
grazie alle osterie, che lo preparavano per i marinai
 delle navi ancorate nel porto di Genova.








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Tzatziki Ligure

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TZATZIKI LIGURE
(SALSA CETRIOLO E PRESCINSEUA)
Per quattro persone
Ricetta Vegetariana
Senza Glutine
Ingredienti:
1 cetriolo medio
200 gr di Prescinseua
1 spicchio di aglio pulito
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
4 foglie di menta
Sale fino marino


Utensili di preparazione e presentazione
Un tagliere
Un coltello
Due piccole scodelle
Un cucchiaio


Procedimento per la preparazione
Sbucciare il cetriolo, eliminare i semi all’interno e tagliarlo a pezzetti. 
Trasferirlo nella scodella, cospargere un po’ di sale 
e mettere in frigo affinché ceda la sua acqua. 
Mettere lo spicchio di aglio nell'altra scodella con l’olio evo. 
Dopo circa un’ora eliminare l’acqua in eccesso dal cetriolo
 e tritarlo finemente con il coltello. Lavare e tritare le foglie di menta.
 Lavorare a crema il formaggio con l’olio aromatizzato all'aglio,
 unire poi il cetriolo e la menta. 
Mescolare bene e servire.








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I Panini del sognatore Biscotto

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I Panini del sognatore Biscotto
di Gabriella Molli
Quando ha chiuso la mitica osteria/enoteca del Biscotto in via Militare 72 al Solaro,
 è stato un colpo al cuore per coloro che la consideravano il luogo del cuore
 e tanti hanno provato una specie di tristezza. 
Si è chiuso un mondo e un luogo di singolari piaceri del gusto. 
Ma Franco Lanata e la moglie Silvana (a cui il popolarissimo personaggio 
aveva passato già da due anni il timone) hanno deciso di andare “giustamente” in pensione
 dopo anni di successo con i famosi panini, che hanno fatto conoscere
 l’osteria a livello nazionale e non solo. 

Achille Franco Lanata
Biscotto (così è affettuosamente chiamato Achille Franco Lanata
ha incantato le papille di almeno due generazioni. 
Ma ora arrivano già le prime carrozzine della terza generazione, 
mi aveva detto con un sorriso felice, il popolare personaggio di Solaro: 
prima sono arrivati i padri, quelli della mia età. Poi i figli. 
Incredibile stessi panini e stessi gusti.  
Perché, allora, niente più panini? Arriva un momento – aveva spiegato – 
in cui si ha bisogno di respirare con più libertà. 
Ho iniziato nel ’78 e sono andato avanti con grande entusiasmo. 
Ma era poco lo spazio per i viaggi, la neve, il mare delle isole.
 E di fronte alla domanda “Che cosa ti porti dietro?” aveva risposto: 
tanti amici e anni in cui ho conosciuto personaggi straordinari, 
a cominciare da Vittorio Sereni e Buonassisi. Ho amato molto la mia attività 
e ho messo tutta la mia creatività nei miei panini. Ma ora voglio riposarmi.
 Biscotto, però, dopo un iniziale riposo e la cura del suo orto-giardino,
 ha fatto a tutti coloro che hanno tanto amato i suoli panini, la sorpresa di tornare in pista. 
I suoi paninidimare ideati per Mytiliade 2014 raccontano il nuovo Biscotto.
 Come è iniziata la sua storia?

Biscotto all'opera da Odioilvino a la Spezia
 Ecco la risposta. “Sono grato a tanti personaggi. Il primo è Massimo Rustichini, 
a cui devo anche i primi approcci con il mondo del vino. 
Erano i tempi della Discoteca Safari di Dogana. 
Correva il ’68. Ho cominciato sulla scia dei suoi panini. 
E devo dire grazie anche a Salvatore Marchese che mi ha incoraggiato, 
a Renzo Raffaelli del Secolo XIX che ha scritto il primo articolo. 
Ho fatto panini e continuato a sognare”.
Franco Lanata ha fondato la Condotta Lerici-Val di Magra di Slow Food,
 una delle prime della Liguria, la numero104 dell’elenco nazionale.
 E sempre con Slow Food ha iniziato la campagna di valorizzazione del Vermentino, 
convinto che avrebbe guadagnato il suo posto nel mondo del vino italiano. 
“Così è stato – racconta - e i piccoli vignaioli, spronati a cercare la qualità, 
hanno conquistato il loro posto sulle guide”. 


 Il primo panino? “Sulla scia di Massimo Rustichini: 
spek, rucola, robiola e olio extravergine”. 
Qual è stato il tuo preferito?“Quello al basilico– e sorride - 
Di una semplicità estrema: "salsa base con aceto bianco e olio extravergine,
 gorgonzola, pomodorini e basilico”. 
Una creatura tanto amata?“Il panino pieno di arrosto di maiale, 
mele golden tagliate a fettine sottili e una mostarda di pere”. 
Un panino da gourmet?“Quello al petto d’oca, con pecorino di fossa e miele di castagno”. 
Puoi sintetizzare il segreto dei tuoi panini in poche parole?
 Risponde con tre aggettivi: caldo, aperto, richiuso. 
E spiega: “Sono i tre momenti che segnano la storia di un panino.
 Caldo perché deve accogliere gli elementi per la farcitura 
in modo da formare quell'amalgama che lo fa diventare straordinario. 
Aperto a libro davanti a te, per distribuire gli elementi seguendo le leggi dell’armonia. 
Richiuso, perché deve tornare a essere quasi freddo per essere gustato al top”. 


Achille Lanata, per gli amici Biscotto





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Il Cappon Magro da Passeggio

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IL CAPPON MAGRO DA PASSEGGIO
Ingredienti:
Pane grosso tipo Vinca
Muscoli del Golfo di La Spezia (mitili) puliti
Gamberi rosa
Zucchine
Pomodori
Mozzarella Fior di latte
Maionese
Senape
Acciughe sotto sale
Formaggio fresco tipo Robiola
 o Caprino
Olio Extravergine di oliva
Limone
Pepe in grani
Qualche foglia di alloro
Utensili di preparazione e presentazione
Un tagliere
Un
Un coltello da pane
Due o tre cucchiai
Un coltello
Il Minipimer o il frullatore


Procedimento per la preparazione
Prepara una vinaigrette con maionese e senape in parti uguali
 e due o tre filetti di acciuga, sciacquati e diliscati, 
lavorata con il minipimer e con aggiunta di olio extra vergine (occhio al sale). 
Nel tegame fai aprire i muscoli a fuoco dolce; 
sguscia dei gamberi dopo averli scottati in acqua acidulata; con un po' di succo di limone,
con grani di pepe e foglie di alloro; 
una volta cotti li raffreddi, li pulisci e li tagli a metà, nel senso della lunghezza. 
Le zucchine sono lavate e tagliate crude con il pelapatate; 
i pomodori sono lavati e tagliati a fette sottili


Per la farcitura del panino

Spalma sulle fette di pane della robiola fresca, oppure del formaggio caprino 
e aggiungi qualche fetta di mozzarella; metti in forno caldo a 250 gradi;
 intanto prepari la farcitura: stendi in un piatto delle fette di pomodoro, 
poni sopra il composto di muscoli e gamberi e con l'aiuto del biberon da cucina, 
condisci il tutto con la vinaigrette (assembla gamberi e muscoli,
 in modo da non rompere il pane quando lo tagli, in quanto le fette sono molto sottili). 
Quando il panino ritieni sia cotto, ovvero risulta dorato e la mozzarella fila, lo riapri e lo farcisci; 
richiudi fai una leggera pressione con il coltello e lo tagli a piccoli pezzi. 
Nel caso risultasse troppo asciutto, si può aggiungere un filo d'olio sul pane.

Biscotto al lavoro [foto di Sandra Longinotti]





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Rucola, e poi?

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Rucola, e poi?
di Gabriella Molli
Il pesto di rucola di Daniela mi ha piacevolmente ricordato una discussione tra amici 
su un tema affiorato proprio a proposito della ruchetta. 
Siamo partiti dalla rucola, poi passammo a: sedano, pinoli, basilico, cipolla, salvia, zafferano; 
ovvero a parlare di quelli che sono considerati ingredienti che rinvigoriscono il desiderio. 
Ridemmo molto ma, leggendo la cucina romana, ho trovato questi versi di Ovidio, 
che per rinvigorire l’amore consiglia:
   “….prendi candido bulbo (leggi cipolla o lampascione?)
              quello che ci manda  la città greca d’Alcatoo
         e l’erba che stimolante cresce nel tuo orto (leggi ruchetta?)
       e qualche uovo e poi miele d’Imetto
           e i pinoli che tra gli aghi aguzzi ci dona il pino”
             "Sana herba salax, la rucola “i lenti mariti spinge a Venere”.
Che dire? Pane e cipolla, poverissimo cibo, oltre a togliere la fame riusciva anche
 a sollecitare certe attività piacevoli? 
E la frittata di cipolle e uova è nata nella testa della donna con questo intento?
Sto sorridendo, ma mi viene in mente la focaccia con la cipolla 
e penso alla beffa di una leggenda metropolitana ligure che racconta la nascita
 di questo piatto da parte di una moglie follemente gelosa,
 che cercava di rendere inavvicinabile l’alito del marito in partenza per una lunga pescata 
con soste in spiagge lontane fra mille tentazioni, con tante belle focacce alla cipolla. 
Beh, a mio avviso è una leggenda antistorica. 
Perché è quasi impossibile che le fosse sfuggito il significato erotico della cipolla 
che era vietata nella cucina dei monasteri.
E sempre parlando di fuoco d’amore, potrei citare: pistacchi, carciofi, tartufi. 
Il tartufo, sostiene Giuseppe Mantovano nel testo “L’avventura del cibo. Origini, misteri, 
storie e simboli del nostro mangiare quotidiano” (Gremese Editore, 1989), 
ha grande fortuna nelle mense rinascimentali, perché “delicato al gusto”, 
ma soprattutto “perché aumenta lo sperma e l’appetito del coito” (da Pisanelli).
Poi nel XVII secolo dall’America, attraverso la Spagna, arriva il rito della cioccolata.
 E Mantovano ricorda che Madame Pompadour si cibava di cioccolato e di minestre di sedano.   
Fu per questa ragione che pezzettini di cioccolato sono finiti con pinoli e uvetta
 in una torta per la festa di San Bartolomeino a Pitelli?
Non ho ancora parlato dei ceci. Che fin dall’antichità sono stati stimati
 come ottimo aiuto per i riti piacevoli della fecondità. 
Beh, la farinata e la panizza sono molto diffuse nel nostro territorio, 
e, guardate bene, secondo tradizione sono piacevolmente consumate in primavera 
con cipollotti affettati fini. Un’altra annotazione su usi e costumi del nostro territorio, 
mi porta ad evidenziare che nei fritti canonici delle grandi abbuffate di Natale, Pasqua e Capodanno
 in casa mia non mancavano mai i sedani fritti. Sarà un caso… 
Ebbene, ora voglio tornare là dove sono partita: un pesto alla rucola 
è l’ideale per una cena con super dopocena. 
Ma voglio anche ricordare che la rucola è diventata negli Anni Novanta un letto meraviglioso
 per un “carpaccio”. Dice Roberta Corradin nel suo libro “La repubblica del maiale. Sessant’anni di storia d’Italia tra scandali e ossessioni culinarie” (Chiarelettere, 20139:
 “Digitando “letto di rucola” su Google vengono fuori 247.000 risultati”.
 E poi: “Il letto di rucola ci arriva sul piatto esaltato dal ménage à trois 
con carpaccio e scaglie di Parmigiano, pomposamente condito con gocce di aceto balsamico.
 Ci sentiamo ricchi, informati, gourmet e pure proteici e vitaminici”.
 Beh, sì. Ma non è che il piatto sia diventato “una ossessione culinaria degli Anni Novanta” 
perché il binomio rucola-carne produce quei piacevoli effetti?  




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La Torta Verde

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LA TORTA VERDE
Per sei/otto persone
Ricetta Vegetariana
Ingredienti
Per la pasta sfoglia:
300 gr di farina 0
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
Sale
Per il ripieno:
1,5 kg di bietola
(oppure 1 kg di bietola e 500 gr di zucchine)
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
100 gr di prescinseua o ricotta
1 cipolla 
3 uova fresche
100 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
Sale fino marino


Utensili di preparazione e presentazione
La spianatoia
Il matterello
Una terrina
Un coltello
Un tagliere
Una pentola
Una casseruola
Un cucchiaio di legno
Una teglia rettangolare da forno


Procedimento per la preparazione
Preparare la pasta: disporre la farina a fontana sulla spianatoia,
 versare nel centro della fontana 2 cucchiai di acqua e l’olio, 
salare e impastare bene fino a ottenere una pasta elastica; 
lasciarla riposare mezz'ora, coperta in luogo tiepido.
Preparare il ripieno: lavare le bietole e cuocerle in una pentola con poca acqua
 leggermente salata; scolarle, strizzarle e tritarle; scaldare l’olio in una casseruola
 e farvi appassire la cipolla tagliata a fettine sottili, unire le bietole 
(ed eventualmente le zucchine lavate e tagliate finemente),
 insaporire con un pizzico di sale e far stufare, girando ogni tanto, per 10 minuti; 
sbattere le uova insieme al Parmigiano; 


unire il composto alle bietole raffreddate. Regolare di sale.
Dividere la pasta in due parti, una leggermente più grande dell’altra e tirarle con il matterello;
Ungere la teglia con l’olio e stendervi la sfoglia più larga, 
facendola debordare di 2-3 centimetri.
Versare il ripieno e livellarlo col dorso del cucchiaio. 
Coprire con la seconda sfoglia e sigillare, ripiegando su se stessi, gli orli delle due sfoglie; 
spennellare la superficie con un po’ d’olio.


Cuocere in forno a 200°C per circa 35/45 minuti, fin quando la sfoglia non risulta dorata. 
Sfornare e servire tiepida o fredda.






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A proposito di Scherpada

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A proposito di Scherpada
di Gabriella Molli
Scherpada-scarpazza: sarà un caso che i due termini si somiglino? Ambedue i luoghi dove esiste questa tradizione di torta con le erbe sono confinanti: Sarzana e Ponzano Superiore. L’uno quasi sul fiume Magra, l’altro sulla collina sul retro di Santo Stefano. Vediamo cosa può essere successo e perchè ambedue questi piatti sono in qualche modo collegati con i cibi di accoglienza della Via Francigena. Ma prima occorre discutere sul prefisso “Scarp”. Scarpazzone emiliano, scarpazza sarzanese, scarpaccia viareggina, scarpacci della Lunigiana storica hanno questo piccolo filo rosso che li congiunge. E la ponzanese scherpada? Quest’ultimo termine forse  è derivato da una trasformazione fonetica: scarpaza-scherpaza-scherpada. Solo ipotesi queste, perchè non esiste una documentazione. Ma tutta una parte della tradizione si fonda su ipotesi. Lo dice la storica dell’alimentazione Tannahill Reay, nel libro “Storia del cibo” (Rizzoli, 1987). Quello che c’è di interessante è il prefisso, dunque: lo studioso Enrico Calzolari lo fa risalire al germanico scarp-tasca di pelle. Tutti questi piatti infatti sono dentro una specie di tasca-sfoglia, fatta con farina-acqua-sale-un po’ d’olio. E dentro erbe di campo, anche bietoline (con la riserva di oggi verso le bietole dalla costa bianca). E dentro anche la maggiorana (una delle erbe della felicità). Ma gli scarpacci della Lunigiana storica (come si evince anche a pag. 60 del libro “Ricette di Lunigiana” (di Baldassari-Calzolari-Molli, Lunae Bosoni Edizioni, 2012), e come spesso avviene nella scarpazza sarzanese, vedono la presenza della mortadella e al posto della maggiorana, il profumo di noce moscata. La mortadella lunigianese (la mondiola) è un prodotto di origine antica. E’ collegato alla civiltà del maiale, trova conferma in un percorso di cibo che viene dall'Emilia  La noce moscata è anch'esso frutto probabile di contaminazioni. Piaceva molto e in Lunigiana era in vendita nei mercati presenti nella festa del santo patrono. Sempre nello stesso libro, viene citata una ricetta di scarpazza in uso a Pignone fatta con spinaci e con immissione di elementi dolci (zucchero, uva passa, pinoli, e due cucchiai di zucchero anche nella sfoglia). Una torta, questa, che fa ricordare i gusti mediterranei, dove dolce e salato stanno in armonia. Perché questo gruppo di torte-tortelli (perché di fatto gli scarpacci lo sono) è collegato con i cibi “poveri” della Via Francigena? Perché tutte le composizioni prevedono gli erbi o le erbette (bietole) sempre a disposizione in ogni stagione, nei campi incolti, sotto gli ulivi, nelle piane. Le donne intelligentemente sapevano riconoscerli e associarli per ottenere un ripieno di gusto morbido. Persino la malva riusciva a temperare certi sapori tendenti all'amaro  Oppure l’ortica. Il finocchietto selvatico, poi, era così tenero e profumato, da dare un tono speciale al piatto. In contenitore è di farina: a volte è molto sottile, come quello in uso presso le donne arabe.La forma della scherpada è un esempio  di piccolo contenitore rotondo di pasta azzima. Il più rispondente a riti gastronomici di devozione alla Dea Madre (o alla dea bona). Così era. Tutto ciò che è tondo e pieno è nato da arcaiche forme devozionali di richiesta di fecondità: il raviolo ben ripieno ricorda il ventre della madre in attesa. Abbiamo mai pensato alla storia dei cibi dentro il piatto?    




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Salvatore Marchese: quarta edizione de “La cucina di Lunigiana”

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Salvatore Marchese: quarta edizione de 
“La cucina di Lunigiana”
Appunti da una serata di “Feria d’agosto” da Ciccio a Bocca di Magra
di Gabriella Molli
Una bella iniziativa post-ferragostana sul far della sera ha portato il giornalista scrittore e food writer Salvatore Marchese (recensisce ristoranti in tutta Italia) a partecipare a un incontro per celebrare l’uscita della quarta edizione del suo libro“Cucina di Lunigiana”. Ambiente perfetto: un angolo del giardino del ristorante Da Ciccio di Bocca di Magra.
Disteso, molto disponibile a parlare, Marchese racconta dei suoi celebri amici (ne ricordiamo solo due: Veronelli e Paracucchi, i suoi grandi padri). Il discorso scivola sulle trasmissioni televisive del cibo e sulle moderne ossessioni culinarie che sanno di teatro più che di vero interesse per una cucina sana adatta al tempo. Poi affiorano alcune ricette del libro. Vengono lette.  E lui racconta, con quel suo fare molto discorsivo, come e perché rappresentino storie di casa e di territorio. Fa una rilettura del come mangiavamo e perché. Cosa ci si aspettava da un giornalista che venticinque anni fa ha studiato e analizzato la cucina di Lunigiana in ogni sfumatura? 

Ecco la prima ricetta: Bianco e negro d’agnello alla sarzanese. Ricetta che non si fa più perché l’agnello non è più il protagonista delle feste canoniche e della Pasqua in particolare. Si mangia tutto l’anno.
Ingredienti
400 grammi di coratella d’agnello
(tagliata a fettine sottili)
Uno spicchio d’aglio
Un rametto di rosmarino
Tre foglie di salvia
30 gr di strutto
(eventualmente un po’ di burro)
3 cucchiai di olio d’oliva
Un bicchiere di vino bianco
Sale e pepe
-in una padella scaldare l’olio e lo strutto (o il burro)
-aggiungere aglio, rosmarino, salvia tritati finemente
-unire la coratella
-mescolare bene
-lasciar rosolare per 4 minuti a fiamma non troppo alta
-bagnare col vino bianco (un poco alla volta, sempre mescolando)
-salare e pepare
-completare la cottura a fuoco moderato

La ricetta evidenzia la cultura degli ovini in tutta la Lunigiana storica, allevati vicino a casa, o in pascoli facilmente raggiungibili. La pecora è un bene, ti dà la lana, il latte quando figlia e puoi fare il formaggio. Sappiamo da Tito Livio la storia di queste grandi forme lunigianesi marchiate con il simbolo della Luna. E poi c’è il privilegio della vendita dell’agnello, fin dai tempi oscuri dei primordi dell’uomo sulla terra, usato nei sacrifici e negli omaggi alla madre terra e agli dei. La coratella, appunto, si legge, dopo il sacrificio sul fuoco, veniva mangiata. L’aggiunta di aglio, rosmarino, salvia la dice lunga su come le erbe aromatiche fossero prima di tutto usate per quel rapporto magico (e di preghiera) collegato con le simbologie.

Brutuei
La seconda ricetta è legata alla scarsa dovizia di prodotti e all’intelligenza della donna che si muove nella preparazione del pasto con ciò che ha.
Ingredienti
350 gr di farina di frumento
Un bicchiere d’acqua
Brodo di verdure già preparato
-si mette a bollire il brodo già pronto
-con l’acqua si spruzza la farina ricavandone un impasto abbastanza duro
-con le dita si prelevano dei pezzetti di impasto e si formano dei pallini che si gettano nella pentola (si tratta di una sorta di gnocchetti)


Là dove la necessità rende creativa la donna. Ricordava Salvatore Marchese che questo piatto ha a che fare con il couscous, con le trofie, con gli gnocchi e tutti quei piatti che passano attraverso una gestualità precisa e un ordine delle cose.

Spongata
La terza ricetta parla del momento della gioia, del rito del dolce. Ma la spongata arriva da dove?
E' stata trovata da Giovanni Lagomarsini, detto “Il Boccaccio”. Si faceva in una famiglia contadina della Vallata della Magra. E forse esce dalle basse economie dei contadini per il burro (autentica grande fatica trovare i soldi per acquistarlo). Stesso discorso per lo zucchero che in questa ricetta compare (felicemente) in dose molto ridotta. Ma tutti gli altri ingredienti sono quasi di casa.
Ingredienti
250 gr di farina di frumento
100 gr di burro
3 cucchiai di vino bianco
(appena tiepido)
Un tuorlo
Scorza grattugiata di un limone
75 gr di zucchero
Per la farcia
3 cucchiai di confettura di fichi
3 cucchiai di confettura di mele
1 cucchiaio di marmellata d’arancia
3 fichi secchi tagliati a pezzi
20 pinoli
un poco di cannella
10 mandorle sgusciate
(tagliate a pezzetti)
un poco di chiodi di garofano macinati
Per la glassa
3 cucchiai di zucchero
 -lavorare lo zucchero, il tuorlo, il burro e la scorza di limone fino a ottenere una consistenza cremosa dell’impasto
-incorporate la farina e il vino bianco
-dividere l’impasto in due parti e tirare le sfoglie
-ungere con il burro una teglia da forno (25-28 cm)
-sistemare la sfoglia
-versare la farcia: prima le confetture, poi il resto
-sovrapporre l’altra sfoglia
-in una tazzina bagnare 3 cucchiai di zucchero con un cucchiaio di acqua
-stendere la glassa sulla superficie della sfoglia di copertura
-cuocere in forno (180-190°) per circa 45 minuti

 Di spongate nel libro Marchese ne ha siglato cinque (anche quella del suo grande guru Angelo Paracucchi) ed esce da territorio per fare cenno al percorso emiliano. Perché sottesa al libro c’è l’indagine sociologica. Che è la grande motivazione che guida sempre il giornalista. La grande motivazione che rende documento di vita tutto ciò che esce dalla sua penna.  Poteva dare un suono nuovo a un libro uscito nel 1989, ma lui, no. Ha dato l’autorizzazione a cambiare la copertina, che è un omaggio alle castagne, protagoniste indiscusse sulla tavola della Lunigiana storica, tanto sulla costa che in montagna. E’ il tema del “caso e della necessità” che ha dato origine a una sua ricerca attraverso le ricette della terra in cui è nato, da padre siciliano e madre castelnovese, a diventare oggetto della disamina sul testo attraverso la lettura di tre ricette-documento.  










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Tagliolini Muscoli e Ceci

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TAGLIOLINI MUSCOLI E CECI
Per quattro persone
Ingredienti:
350 gr di tagliolini (pasta secca)
200 gr di mitili (a La Spezia “muscoli”) già cotti e sgusciati
100 gr di ceci lessati
1 spicchio di aglio sbucciato
Prezzemolo
Olio extravergine di oliva
Sale marino


Utensili di preparazione e presentazione
Una pentola grande
Un colapasta
Un tegame antiaderente
Un cucchiaio di legno
Un coltello
Procedimento per la preparazione
Mettere la pentola, per cuocere la pasta, sul fuoco con sale e abbondante acqua.
In un tegame scaldare l’olio extravergine di oliva e lo spicchio di aglio.
Aggiungere i ceci ed i mitili, lasciare insaporire a fuoco basso, mescolando ogni tanto, 
per 5/10 minuti circa (aggiungere eventualmente un po’ di acqua). 
Eliminare lo spicchio d’aglio. Cuocere i tagliolini secondo le indicazioni. 
Scolarli al dente e unirli ai frutti di mere e legumi nella padella; 
far insaporire bene ed aggiungere qualche foglia di prezzemolo lavato e tritato. 
Impiattare e servire






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Acciughe al Limone

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ACCIUGHE AL LIMONE
Per quattro persone
Senza Glutine
Ingredienti
24 acciughe freschissime
100 ml di aceto di vino bianco
Olio extravergine d'oliva q.b.
Succo di limone q.b.
Sale fino marino
Qualche rametto di prezzemolo
Pepe bianco se piace


Utensili di preparazione e presentazione
Guanti da cucina
Un coltello
Una terrina
Un piatto capiente
Un vassoio di cartone
Carta assorbente da cucina
Pellicola per alimenti
Un piatto da portata
Procedimento per la preparazione
Il giorno prima pulire le acciughe eliminando la testa, la coda, 
le interiora, la lisca e aprirle a libro; sciacquarle bene con acqua e aceto in parti uguali 
e disporle su un vassoio di cartone coperto da carta assorbente da cucina
ad asciugare; eliminare la carta bagnata dal vassoio, 
avvolgere con pellicola per alimenti e mettere nel congelatore una notte.
(questo evita il pericolo di ingerire le larve di anisakis  vive)
Il giorno dopo portare le acciughe a temperatura ambiente, prendere un piatto capiente 
e adagiarle una di fianco all'altra. Coprire i pesci con il succo di limone. 
Lasciarle marinare almeno per un'ora in frigorifero. 
Prima di servirli, scolare dal limone e trasferire i filetti di acciuga su un piatto da portata, 
condire con olio extravergine di oliva, un pizzico di sale, una macinata di pepe bianco se piace,
e qualche foglia di prezzemolo tritato.







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La Stroscia

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LA STROSCIA
Per sei persone
Ricetta della Tradizione, originaria di:
Pietrabruna (Imperia)
Ricetta Vegetariana
Ricetta Vegana
Ingredienti:
250 gr di farina di grano tenero tipo “0”
120 gr di olio extra vergine di oliva
75gr di zucchero di canna
1 cucchiaino di lievito per dolci
25gr di vino dolce
Scorza di 1 limone non trattato
1 pizzico di sale
Per la decorazione:
2 cucchiai di zucchero di canna
50gr di mandorle tritate (facoltativo)
Utensili di preparazione e presentazione
Una terrina
Una grattugia
Un coltello
Un cucchiaio
Una teglia antiaderente di 24 cm di diametro


 Procedimento per la preparazione
Mescolare nella terrina la farina con la scorza di limone grattugiata, lo zucchero,
 il sale ed iniziare a impastare con le mani aggiungendo poco alla volta il vino
 e poi l'olio extravergine di oliva.
Disporre l’impasto nella tortiera e stenderlo schiacciandolo con le dita, 
spolverare con lo zucchero di canna. Infornare a 180° per 30 minuti circa. 
Appena raffreddata rompere la Stroscia in grossi pezzi
 e servire con vino dolce, caffè o creme calde.
Si può anche aromatizzare con semini di anice e sambuca 
oppure con la scorza di un’arancia non trattata e acqua di fiori d’arancio.
Note:
La Stroscia è un capolavoro di gusto e semplicità: pochi ingredienti 
la rendono friabile, e leggera.
 Dolce tipico di Pietrabruna (nell'entroterra imperiese), 
caratteristico per l’impiego di olio extravergine d’oliva al posto del burro. 
Le donne anticamente, sfornavano delle strosce completamente naturali 
(non usavano lievito artificiale), aggiungevano all’impasto il “levau” 
ovvero farina impastata con acqua e lasciata a fermentare per 5 giorni al caldo, 
sotto varie coperte, nel posto più riparato della casa. 
Il nome deriva dal termine “strosciare” che in dialetto ligure significa spezzare, rompere; 
infatti questa torta è talmente friabile che non si può tagliare a fette
 e per mangiarla si deve rompere con le mani. 
Può essere servita con crema pasticcera o zabaione caldi, 
o accompagnata da un buon bicchiere di vino dolce.
 E’ un’ottima soluzione per intolleranti alle uova e al lattosio o nelle diete vegane.







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Una ricetta pensando a Mytiliade

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Una ricetta pensando a Mytiliade:
CREMA DI MES-CIÜA, FARRO CROCCANTE,
MUSCOLI DORATI AL TIMO
Per quattro persone
 Ingredienti:
250 gr di ceci ammollati 24 ore e cotti
250 gr di fagioli cannellini ammollati 12 ore e cotti
200 gr di farro lessato
Zafferano
2 spicchi di aglio
2 foglie di salvia
30 muscoli (mitili) già puliti
Farina di ceci
Farina di mais
Olio extravergine di oliva
Qualche rametto di timo fresco
Sale fino marino
Pepe nero


Utensili di preparazione e presentazione
Una pentola
Un tegame basso con coperchio
Un frullatore ad immersione
Un padellino antiaderente
Una padella
Un cucchiaio di legno
Pinza da cucina
Un piatto piano
Carta assorbente
Un mestolo
Quattro coppe per antipasti


Procedimento per la preparazione
Mettere nella pentola i ceci, i fagioli, 100 gr di farro, 
uno spicchio di aglio e la salvia; 
aggiungere acqua calda fino a coprirli e portare a bollore. 
Far cuocere 20/30 minuti a fuoco basso, girando ogni tanto. 
Togliere aglio e salvia e con il frullatore ad immersione, ridurre la mes-ciua in crema;
 unire lo zafferano, mescolare bene e regolare di sale. 
Mettere i muscoli nel tegame coperto e a fuoco basso, 
finché non si saranno aperti; far raffreddare. 
Nel padellino tostare per qualche minuto il grano farro rimasto, 
girandolo continuamente con un cucchiaio di olio extravergine di oliva,
 fin quando sarà croccante. Sgusciare i muscoli;


 scegliere i 20 più grossi e passarli prima nella farina di mais 
con quella di ceci (mescolate in parti uguali), con un po’ di foglioline di timo, 
poi in padella con olio extravergine di oliva e uno spicchio di aglio; 
cuocerli velocemente, girandoli con la pinza e quando saranno dorati, 
trasferirli su un piatto con carta assorbente.
 Disporre in ogni coppa la crema, poi un pochino di farro croccante 
ed infine al centro, a fiore, cinque muscoli. 
Terminare con un filo di olio, timo fresco,
 una macinata di pepe e servire.








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Torta verde: bietole-bietoline, coste-costine

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Torta verde: bietole-bietoline, coste-costine
 di Gabriella Molli
Torta verde di Daniela. E sul nome torta si apre tutto un mondo. Per prima cosa sarà bene collegarci con “torto”, participio passato di torcere. Forse il verbo si riferisce alla gestualità necessaria per lavorare l’impasto. Dico forse, sottovoce, supportata dal fatto che nel libro di Claudine Brècort-Villars “Mots de table, mots de bouche” (La Table Ronde, 1996) trovo “Tourte” come termine tratto dal latino “torta panis”, sorta di pane rotondo attestato in “Le Mesnagier de Paris” nel 1393, ripieno di carni, volatili, pesci, legumi, verdure diversamente aromatizzati.
Torta verde: seguendo la ricetta di Daniela trovo le bietole, qualche zucchina, la cipolla e le uova. Ecco quindi che non siamo più nell’area delle torte d’erbi della Lunigiana storica, ma in elaborazioni successive, più ricche di gusti. E perché no, forse di provenienza provenzale-francese. Del resto l’occupazione francese nel nostro territorio ha portato tanti influssi nella cucina di casa nostra. Vorrei a questo punto fare un paragone fra due torte verdi del nostro territorio. Intendo dire quelle a base di bietole, citate nel libro “Cucina e salute con le erbe di Lunigiana”, autore Gian Battista Martinelli (Franco Muzzio Editore, 2007). Ecco l’inizio del capitolo, pag 161:

La bietola è l’ingrediente principale per i tortelli che non sono altro che piccole torte. Quindi mettere le bietole nella torta è stato un passo naturale, dovuto anche alla facile disponibilità della bietola in ogni stagione”.

Qui mi voglio soffermare per dire che bietole sono chiamate in Lunigiana storica anche coste e in qualche caso, per vicinanza con le culture celtiche, “erbette”.
Bietole, coste, erbette: stiamo parlando di piante della stessa famiglia, dove l’apparato fogliare è più o meno sviluppato e il sostegno (la costa, appunto) talvolta è carnoso e bianco, in altre specie delicato quasi sottile, in altre ancora, colorato di rosso (le bietoline dal gambo rosso dei terreni olivati o vignati del territorio spezzino sono famose per il loro gusto). Da ricordare che la bietola ha a che fare con la barbabietola.
Comincio con una ricetta senza la presenza dell’uovo, tratta dal libro di Martinelli.

La “Scherpada di Ponzano”
 La mini torta, o grosso raviolo, dice Martinelli, 
viene cotta su testi di terracotta o su testi di ferro con manico.
 Ingredienti
Un kg di bietole
2 porri
Un etto di mollica di pane
6 etti di farina di grano per le sfoglie
5 etti di zucca gialla (io dico la zucca è post-colombiana)
Un etto di formaggio grattugiato
Sale e olio
 -preparate l’impasto base (acqua-farina-sale e un cucchiaio di olio di frantoio)
-mettete i testi sul fuoco a riscaldare
-fate bollire le bietole e la zucca a pezzi
-strizzatele e tritatele finemente con la mezzaluna
-ponetele in una terrina
-aggiungete la mollica bagnata e strizzata
-lavate i porri e tagliateli a rondelle
-rosolateli in padella con poco olio
-aggiungete in padella bietole e zucca già pronte
-fate rosolare per 5 minuti
-tirate la sfoglia formando dischi di 18 e 20 cm (sopra e sotto)
-mettete sul disco grande uno strato di circa 2 cm di ripieno
-ricoprite con il disco più piccolo
-rivoltate l’orlo per formare un grosso raviolo (l’arte, dico io, sta nella gestualità del formare gli smerli tutti regolari)
-cuocetelo sul testo per 20 minuti, girando di tanto in tanto 

E per far emergere il gusto alla francese con le uova, quello, per intenderci, 
che ci viene anche dal percorso della via Francigena, ecco dallo stesso libro:

La “Scarpazza di Sarzana”
 Dice Martinelli: torta di bietole e porri senza sfoglia superiore.
 Ingredienti per una teglia di 40 cm
3 mazzi di bietole
3 uova
75 gr di formaggio sardo
Un po’ di salsiccia
Sale e pepe
Pangrattato se serve
3 porri
6 cucchiaiate di olio
75 gr di formaggio parmigiano grattugiato
Uvetta e pinoli
Latte
150 gr di farina per la sfoglia
 -preparare la sfoglia con il canonico sistema farina-acqua-sale un po’ di olio
-scottare le bietole in acqua bollente e strizzarle
-lavare i porri e tagliarli a rondelle
-rosolarli in padella con poco olio
-quando i porri sono leggermente fritti, aggiungere un po’ di latte,
 per togliere il loro sapore forte
-aggiungere in padella le bietole tritate grossolanamente
-rosolare tutto per 5 minuti
-rompere le uova in una ciotola
-aggiungerle nella padella con l’olio, con quasi tutto il formaggio, la salsiccia, i pinoli, 
l’uvetta e mescolare bene
-se l’impasto risulta troppo molle, aggiungere il pangrattato
-stendere la sfoglia su una teglia dai bordi alti
-versare il ripieno e livellarlo bene: l’ideale è che sia alto 3 cm
-distribuirvi sopra un po’ di pinoli e formaggio parmigiano grattugiato
-piegare la sfoglia in eccesso formando un bordino
-completare con strisce di pasta distribuite a losanga su tutta la superficie

-mettere in forno caldo per 40 minuti.




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