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Tagliolini & Tajarin & Tagiaìn

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Tagliolini & Tajarin & Tagiaìn
 di Gabriella Molli
Se dici tagliolini con i ceci, cara Daniela, vai in pieno Mediterraneo. Brava. Come dice Oscar Farinetti, mangi locale ma pensi globale. E devo anche riconoscerti il dono di aspirare a mettere sempre un tocco di cultura nelle ricette che divulghi.
La ricetta dei tagliolini con i ceci mi ha fatto tornare alla mente un libro edito in Francia da Marabut, tutto dedicato alla forma perfetta della pasta e alla salsa perfetta. Trovato a Roma alla Libreria Francese. Il titolo è “Geometrie de “la pasta”. Proprio così, scritto in italiano, “la pasta”.
Dice l’autore Jacob Kenedy (cuoco inglese innamorato dell’Italia, pensate che tutti i capitoli del libro portano un titolo italiano): con questo libro voglio riconoscere il primato dell’Italia nella varietà delle paste. Renzo Pellati, nel libro “La storia di ciò che mangiamo” (Daniela Piazza Editore, 2013) sottolinea il fatto che in una descrizione della Sicilia scritta dal geografo Al-Idrisi per conto del re normanno Ruggero II (1093-1154) è descritto un cibo filiforme (consumato nella regione di Palermo) confezionato con farina-acqua, definito “itryah”, che significa spago. Itryah divenne in seguito tria. Ancora oggi in alcune zone della Sicilia e dell’Italia meridionale, gli spaghetti si chiamano trii.
Veniamo ai tagliolini con ceci. Già nel Sud d’Italia dove gli arabi hanno lasciato orme incancellabili, troviamo ciceri e tria. Oppure lagane (una pasta sottile greca era chiamata laganon) con i ceci. Con il termine tagliolini, dove siamo? Jacob Kenedy cita giustamente Maestro Martino, primo chef mediatico che nel 1546 scrive in Arte Coquinaria: i macharoni alla romana (fettuccine) devono essere tagliati nella larghezza di un dito. Ma i macharoni alla genovese (tagliolini) devono avere la larghezza di un ago.
Nei ricordi di Antonio Luciani, sarzanese della Bradia due sono i tipi di tagiarin della sua famiglia: quelli con sugo di storni (oppure di allodole). Venivano esposti a grappolo all’esterno del negozio della Baitrè. I tagiarin a la Baldina erano invece fatti con il borbogion (la parte terminale pelosa delle zucche), qualche patata, fagiolini in erba e mortadella nostrale (la mondiola del norcino Pacialunga).
C’è una ricetta della vecchia Lerici che ha incantato le mie papille ovviamente in tempo di bianchetti (oggi proibiti). E’ una ricetta di casa.

tagiaìn coi biancheti
Piatto del ricordo
(i tagliolini sono senza l’uovo)
 Ingredienti per 4 persone
200 g di tagliolini fatti sottilissimi con acqua-farina-sale-
un cucchiaino d’olio di frantoio
300 g di bianchetti
(si possono fare anche oggi, ma attenti ai bianchetti surgelati
 che non sono bianchetti)
due pomodori pelati (in scatola d’inverno, ben maturi d’estate,
 messi un attimo in acqua a bollore con una croce sulla superficie e poi passati)
maggiorana
prezzemolo
uno spicchio di aglio
olio di frantoio
mezzo bicchiere di vino bianco secco (meraviglioso il Vermentino)
sale, pepe qb
Come si fa
-mettere i bianchetti sotto l’acqua dentro un colino ben fitto per togliere tutte le impurità, 
spesso sono presenti anche mini alghe
- mettere l’olio in un tegame dai bordi alti e girarvi dentro, usando una forchetta, 
lo spicchio d’aglio
-appena l’olio ha preso il profumo, toglierlo
-aggiungere i bianchetti già puliti, mescolando delicatamente
 in modo da muoverli con grazia
-bagnare con il vino bianco
-aggiungere il pomodoro passato e mescolare dolcemente
-aggiustare di sale e pepare
-fare un trito fine fine di maggiorana e prezzemolo
-condire i tagliolini (la cottura è molto breve, attenzione)
nel tegame dove si è preparato il sughetto di bianchetti
-servire caldo con un volo leggero di prezzemolo-maggiorana nel piatto

Una curiosità. Qual è la ricetta di Jacob Kenedy? 
Tagliolini gratinati con gamberi e insalata trevisana. 







   

La Torta di Zucca ligure

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LA TORTA DI ZUCCA
Per sei/otto persone
Ricetta Vegetariana
Ingredienti per la sfoglia:
200gr di farina 0 bio
3 cucchiai di olio extravergine di oliva
Acqua tiepida
Sale fino marino q.b.
Ingredienti per il ripieno:
500gr circa di zucca trombetta d’Albenga 
(oppure d’inverno o mantovana)
1 grossa cipolla dolce (o la parte bianca di un porro)
150 gr di ricotta
2 uova fresche codice 0
100gr di Parmigiano reggiano
Olio extravergine di oliva


Utensili di preparazione e presentazione
La spianatoia
Il matterello
Una terrina
Un canovaccio
Un coltello
Un tegame
Un pennello da cucina
Una teglia antiaderente da forno


Procedimento per la preparazione
Disporre la farina a cratere sulla spianatoia, versarvi all'interno 3 cucchiai di olio evo, 
due pizzichi di sale e tanta acqua tiepida sufficiente per ottenere
 un impasto liscio, sodo e morbido. Lasciarlo riposare dentro la terrina, 
sopra uno spolvero di farina, ricoperto da un canovaccio umido.
Eliminare la buccia e tagliare la zucca a cubetti.
Pulire e tagliare finemente la cipolla (o il porro) e farla appassire a fuoco basso
 con qualche cucchiaio di olio evo nel tegame; unire i cubetti di zucca, salare e coprire. 
Far cuocere lentamente zucca e cipolla, mescolando ogni tanto 
ed aggiungendo se necessario un po’ d’acqua, finché non sarà ridotta ad una crema densa. 
Far raffreddare; unire le uova sbattute, la ricotta, il Parmigiano e mescolare bene. 
Stendere la pasta con il matterello, sulla spianatoia infarinata, in una sfoglia sottilissima. 
Trasferirla sulla teglia unta precedentemente, versare, 
livellare il ripieno di zucca e coprire con la pasta in eccesso. 
Spennellare la superficie con un cucchiaio di olio extravergine di oliva. 
Infornare a 200° per circa mezzora, fin quando non sarà dorata. 
Servire tiepida.






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Torta dolce di Bietole

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Una torta dolce di bietole a Pitelli? Sì
di Gabriella Molli

 Torta dolce di Bietole
(dall’archivio di Gabriella Calzolari)
 Ingredienti:
- 2,5 Kg di bietole crude (non coste) solo foglie, senza gambi, 
corrispondenti a circa sei etti  di prodotto lessato, strizzato e sminuzzato.
- 6 uova intere,  
- 6 cucchiai di zucchero, 
- scorza di limone e arancia,  un pizzico di sale,
- ½  bicchierino di rhum, 
- ½ bicchierino di strega o altro liquore a piacere,
- cannella in polvere.
- Aroma mandorle amare e aroma d’arancia amara, 
- 1 etto di amaretti sbriciolati,
- ¼ di litro di latte,  
- 150 gr. di ricotta  di pecora,  
- 75 gr. di cioccolato fondente sbriciolato,
- 100 gr. di  cedro ed arancia canditi 
in parte inseriti nell'impasto ed in parte cosparsi sopra,
- 50 gr. di uvetta bagnata nel rum,
- 50 gr. di mandorle; 50 gr. nocciole; 50 gr. di noci;  tutte sbriciolate.
- 100 gr. di pinoli in parte nell'impasto ed in parte cosparsi sopra.

Teglia 35 x 27 imburrata e cosparsa di pangrattato o meglio di amaretti sbriciolati.

Procedimento:
Imburrare la teglia e passare il pangrattato.
Mettere l’uvetta in ammollo,  grattare la scorza del limone e dell’arancia, 
sbattere le uova con lo zucchero ed aggiungere uno alla volta tutti gli altri ingredienti.
Versare nella teglia , cospargere con i pinoli ed i canditi  rimasti 
ed infornare a 200 gradi  per 1 ora circa .
 Provare la cottura con lo stuzzicadenti.


E’ la prima volta che inizio una riflessione con una ricetta. Ma c’è un perché. Quando Daniela ha postato la ricetta della torta di bietole ho tralasciato di addentrarmi sul dolce pitellese della torta di San Bartolomeino, che parte proprio dalle bietole. Ecco quindi che ho pensato di tirar fuori dal mio archivio la ricetta di Gabriella Calzolai e di tornarci sopra. Un’aggiunta. Perché so che qualcuno ha chiesto come nascesse questa torta dolce. Molti nel territorio non conoscono questa consuetudine di festeggiamento che ha a che fare con la fine di agosto. San Bartolomeino, dicevo. Come e quando sia nata questa celebrazione gastronomica di Pitelli (La Spezia) così particolare non si sa, ma è certo che gli elementi che vi compaiono hanno una bella storia esotica, tutta mediterranea. Le bietole, le mandorle, le scorzette di limone e arancia, i pinoli, l’uvetta, nocciole, noci, il cedro: sono tutti ingredienti che hanno a che fare con il Mare Nostrum prima di Colombo. E poi arriva il cacao. Anche la storia del cioccolato ha  qualcosa da raccontarci.  Una torta ricca, che prevedeva una spesa, non consentita a tutti. Ma certamente, come per la torta di riso dolce, era quasi un dovere farla. E la si fa ancora. A questo punto, considerato che tutti gli ingredienti che fanno da corona alle bietole, hanno una simbologia antica legata alla fertilità, al portare-chiedere fortuna e ricchezza, ritengo che in vista della fine dell’estate, la torta fosse un modo per augurarsi una buona vendemmia, un’ottima raccolta delle castagne e dei frutti dell’autunno, compresi i fagioli e le zucche. Tutto questo senza cacao, quindi prima di Colombo. Legato alle offerte alla Dea Madre pensando al lungo periodo in cui la natura avrebbe riposato. Poi arrivò il cioccolato che da subito si diceva facesse molto bene all’amore.  Che probabilmente fu messo fra gli ingredienti con la stessa funzione auspicatrice.
La torta dolce di bietole che si fa a Pitelli ha una sua quasi gemella in Garfagnana, e anche nella cucina di Versilia. Esiste infatti una torta di erbe (bietole) analoga.
L’ho assaggiata (con incanto delle papille), ma non ho trovato gli ingredienti nella trascrizione del mio archivio. Segno che la signora che me la fece assaggiare non volle fornirmeli. Si sa che tanta gente della Lunigiana storica non voleva dare le ricette di casa, trasmesse soltanto da madre in figlia.

-Lessare 1 kg di bietole di campo, scolarle, strizzarle bene, tritarle finissime a coltello
-Unire a questo trito zucchero, cacao, mandorle tritate, uova intere e per chi lo ha, 
un bicchierino di liquore a piacere
-Foderare con pasta frolla uno stampo
-Metterci dentro l’impasto
-Con gli avanzi della pasta frolla fare delle striscioline in un senso e  nell’altro,
 in modo da formare una griglia
-Mettere in forno caldo per circa un’ora

Ricordo che la signora aveva cotto la sua torta crostata nel forno a legna,
 per quasi un’ora e il profumo che si diffuse ci faceva chiudere gli occhi per il piacere.
Ho contrappuntato con il grassetto formare una griglia. E c’è un perché :  
formando la griglia si divide la superficie della torta in tante losanghe. La losanga è un segno misterioso che  arriva da tempi lontanissimi. Ha un significato riconducibile a una forma femminile. Quindi era un segno devozionale, ripreso poi anche dalla chiesa. 



  

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#DEDICATOAME un evento a Imperia per conoscere il mondo Carli

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Olio Carli - Imperia
 #DEDICATOAME 

La Fratelli Carlidi Imperia ha #DEDICATOAME e ad altri blogger, invitati per l’evento, le stesse premure e attenzioni che riserva ai suoi clienti da più di 100 anni.  La storia dell’azienda, inizia nel 1911 quando Giovanni Carli decise di non vendere l’olio prodotto in abbondanza, ai negozianti di Oneglia, ma di portarlo e consegnarlo personalmente al consumatore, percorrendo le strade del ponente ligure e del basso Piemonte. Dopo aver venduto tutto l’abbondante ed ottimo olio di quell'annata eccezionale, Giovanni mantenne i contatti grazie alla tipografia di famiglia, che iniziò così a stampare le prime lettere, gli inviti e i primi listini, creando un rapporto di amicizia e fiducia che si allargò velocemente a … macchia d’olio!  Da allora la Fratelli Carli ha superato tantissime difficoltà (la più disastrosa la guerra: i bombardamenti rasero al suolo l’intera azienda) ed oggi con noi c’è la giovane Claudia Carli, a fare gli onori di casa e a raccontarci i progressi raggiunti negli anni, grazie all'alta qualità dell’olio e al lavoro “da famiglia a famiglia”. 

Emporio Carli

Appena entrata nell'Emporio, mi hanno colpito i tantissimi prodotti che hanno affiancato il famoso Olio Extra Vergine di OlivaD.O.P. Riviera Ligure Riviera dei Fiori: salse, pasta fresca, vini, sughi pronti, dolci… la linea Mediterranea, creme e trattamenti viso e corpo, con i principi attivi presenti nell'olio d’oliva e gli spazi ampi a vista per i laboratori di cucina e le degustazioni di olio extravergine di oliva. Ci riuniamo tutti intorno al bancone ed inizia la nostra esperienza sensoriale con un pranzo ricco di gusto e leggerezza. Elemento base della dieta mediterranea, l’olio extravergine di oliva è l’ingrediente più importante nella cucina ligure, presente in ogni ricetta, è un prodotto prezioso che ha qualità salutari. Unico olio che si ottiene dalla spremitura di un frutto fresco.


Visitando l’azienda, si capisce che la cura del cliente e l’attenzione verso le sue esigenze sono gli elementi che distinguono la Fratelli Carli, tutto è curato nei minimi dettagli.




Raffaella Temesio ci conduce alla scoperta del Museo dell’Olivo, voluto nel 1992 da Carlo Carli (attuale Presidente della Fratelli Carli) e premiato con la menzione speciale del Consiglio d’Europa. 18 sale con le collezioni raccolte per decenni dalla Famiglia e riunite qui, in una palazzina liberty costruita negli Anni Venti come sede della Fratelli Carli. Dalla storia dell'olivo, al viaggio dell'olio nei secoli, la nostra Liguria (con i 220.000 chilometri di muri a secco del Ponente ligure), La Dieta Mediterranea, gli antichi frantoi e nell'ultima sala una meravigliosa collezione di oliere.



Anche noi abbiamo avuto la fortuna di partecipare a un assaggio di olio e.v.o. in sala panel con Gino De Andreis (Responsabile Controllo Qualità Carli). “Assaggiare l’olio, imparare a conoscerlo e a sceglierlo, è fondamentale in questo mestiere e nel nostro caso ancora di più. L’alta qualità dell’olio è il nostro unico biglietto da visita”. L'olio extravergine di oliva è l'unico prodotto alimentare di cui la legge disciplina le caratteristiche chimico-organolettiche: per poter essere messo in commercio, perciò, ciascun e.v.o. deve prima superare la prova del Panel Test, un esame olfattivo-gustativo eseguito da un gruppo di almeno 8 assaggiatori professionisti iscritti all'apposito Albo.



Saliamo a Costa D’Oneglia, dove ci aspetta Marco De Kunovich (Responsabile Azienda Agricola Carli) che ci mostra gli uliveti, quelli dai quali dipende la produzione di olive taggiasche, sui terrazzamenti perpendicolari al mare, che risalgono e rubano terra alle colline, grazie ai muretti a secco. L’oliva è un frutto delicato (non è un caso che, la spremitura si fa dove vengono raccolte le olive. Per avere il DOP occorre lavorare le olive entro lo stesso giorno della raccolta) e sono molti i fattori che condizionano di volta in volta la produzione e la sua qualità: la potatura dell'olivo, una gelata, la piovosità, la mosca olearia, il momento della raccolta... La cura della pianta è importantissima.  I paesi intorno, l’aria calda di fine estate e due poiane che volano alte, rendono questa lezione sulla potatura poetica e affascinante. 



Concludiamo la nostra visita nell’Azienda Agricola Fratelli Carli con un delizioso picnic tra gli ulivi.
Enrico Calvi del Ristorante Salvo Cacciatori ci sorprende con un pranzo agreste curato nei minimi dettagli: divani con balle di fieno, lunch box, boccali con il nostro nome, tramezzini raffinati, insalatina di stagione con acciughe dissalate e come dessert un dolce al cucchiaio: fragole, Stroscia e crema al marsala. Siamo in Paradiso!






A proposito di ceci

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A proposito di ceci
di Gabriella Molli

Se Carlo Magno nel “Capitulare de villis” impose di coltivare il cicer italicum in ogni possedimento, vuol dire che i ceci avevano molta importanza nella dieta del benessere. Quindi se dici ceci, percorri brandelli di storia. Semi antichissimi (si parla di 5mila anni avanti Cristo) hanno un buon valore remineralizzante. E anche se nell’antico Egitto comparivano nella dieta dei meno abbienti, va detto che ai ceci era attribuita fama afrodisiaca ed è forse questa la motivazione per cui tutte le cucine del mondo sono ricche di ricette che li comprendono. E va ricordato che ancora oggi, andando nel Sud, nelle fiere e nei mercati si trovano ceci buonissimi da smangiucchiare per strada. Passati nel forno, croccanti, sono una delizia. Nelle cucine di casa del Sud venivano fritti e poi addolciti con miele, nelle feste degli sposi. Il perché è evidente. La fama di buoni induttori alla vita di coppia è confermata dal Durante.
Se osserviamo i modi di preparazione nel Mediterraneo spicca l’uso della farina. Un buon esempio è la nostra farinata. E in Libano spicca un piatto molto diffuso: l’hummus.  Modo di cucinare che si ripete nelle varie cucine medio-orientali, in cui i ceci costituiscono un caposaldo. Qui gioca un buon ruolo il succo di limone. Ma ancora farina di ceci si ritrova anche nella cucina di strada. E’ il caso delle panelle palermitane, ma anche dei falafel delle tavole della mezzaluna Fertile. Polpettine speziate di straordinario sapore mediterraneo. Anche il panorama italiano è ricco di preparazioni-mito: ciceri e tria ne è un classico esempio. Ma basta ricordare che nel Livornese, accanto al classico cacciucco di pesce, esiste anche un cacciucco di ceci. Rosso come il primo e ugualmente carico di sapori intensi che avvolgono la bocca. E che dire del lombardo-milanese “ceci con la tempia di maiale”. Della piemontesissima “minestra di ceci e costine di maiale”. Della meridionale “zuppa di ceci con castagne”. Un punto in più merita l’abbinamento di ceci con i funghi. Ho mangiato a Siena una zuppetta di ceci e funghi porcini da sballo! Poi se si vuole un tuffo nella cucina antica, ecco “lagane e ciceri”. Una curiosità: pare sia stato Orazio a portare a Roma il “laganon” apulo-lucano-calabrese. Le lagane sono associate alle tagliatelle larghe e alle lasagne. Ceci, pollo o coniglio, nello spagnolo “garbanzos al riso”. E sulla via Francigena, ecco i ceci gialli (per lo zafferano) della Valdelsa. Del resto i pellegrini li incontravano già nei “ceci en amarillo” nel cammino di Santiago.

La torta di riso dolce

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TORTA DI RISO DOLCE
Per otto/dieci persone
Ricetta Vegetariana
Senza Glutine
Ingredienti:
120 gr di riso tondo o comune (Balilla, Rubino, Ticinese)
7 uova freschissime cod.0
1 litro e ¼ di latte intero
250 gr di zucchero di canna bio
2 limoni medi non trattati
2 cucchiai di liquore a scelta (Limoncino, Sambuca, Grand Marnier...)


Utensili di preparazione e presentazione
Una frusta
Un pelapatate, per ottenere la buccia di un limone
Una terrina
Un coltello
Un cucchiaio di legno
Una pentola
Una teglia antiaderente da forno (28 cm. diametro o 35 x 25 rettangolare)


Procedimento per la preparazione
Lessare il riso al dente nel quarto di latte con la scorza di un limone (che poi eliminerete). 
Sbattere bene le uova nella terrina, con lo zucchero; aggiungere il litro di latte rimasto,
 il composto con il riso cotto, la buccia grattugiata dell’altro limone
 e i due cucchiai di liquore (risulterà molto liquido, ma non vi preoccupate).
Versare il tutto nella teglia e livellare con il cucchiaio di legno il riso sul fondo.
 Infornare per 1 ora circa in forno caldo a 120/150°.







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Quel gustema infinitamente dolce

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Quel "gustema" infinitamente dolce
di Gabriella Molli

Nella mio immaginario gustativo (e nell’archivio goloso del mio stomaco) la torta di riso dolce si lega a una figura di mamma e di zia impareggiabili nel prepararla. Il solo nominarla produce anche oggi dentro di me un ricordo di profumi che mi muovono nella testa tante emozioni e una dolce nostalgia del tempo andato. Ritengo la torta di riso dolce una rarità geografica di cui bisogna continuare a parlare per non dimenticarla, per farla conoscere. In primo luogo perché nella storia dei cibi di casa nostra c’è la nostra storia, la nostra vita. Poi perché una fetta di torta di riso dolce nasconde eventi della grande storia economica di un luogo.
 
                          I miei cinque sensi e la torta dolce di riso

- Odorato/gusto: 
quel profumo dell’anice. Al solo nominare la torta di riso dolce di mia madre mi torna in mente il profumo che veniva fuori  dal forno della stufa a legna quando la cuoceva. Le mie papille già ne pregustavano la dolcezza, quando metteva l’anice nell’impasto. Il liquore veniva acquistato in un bicchierino che mia madre si portava da casa, tenuto fra due dita, coperto con un foglietto di carta azzurrina (la famosa carta da zucchero del tempo di guerra).
- Vista:
non so come mia madre riuscisse a ottenere la cremosità della sua torta di riso dolce con poche uova e quella doratura che io, anni dopo, non sono mai riuscita a raggiungere. Per me il riso segnava l’arrivo della Pasqua: porta bene, diceva mia madre. Io sapevo che per comprarlo assieme al bicchierino di anice, avrebbe dato in cambio dieci uova, lasciate religiosamente da parte nel famoso cesto di vimini piatto, che metteva in una stanzetta mezza buia, dove stavano chiuse anche le patate.
- Tatto/udito:
la superficie della torta di riso di mia madre era dorata e morbida, il riso turgido e gonfio, in strato basso basso. Una cremosità speciale (la famosa crema) stava sopra. La di torta di riso dolce di mia madre poteva essere tenuta in mano, non aveva bisogno del cucchiaino per essere mangiata. Me ne lasciava sempre un pezzetto per il giorno dopo: ma io non resistevo. Ogni tanto sollevavo la carta oleata e mordicchiavo un chicco, già pregustando le emozioni del giorno dopo.
“Ti vedo, sai”.
Era il modo affettuoso con cui mia madre fermava la mia golosità.
- Vista/gusto:
devo dire che la superficie della torta di riso di mia madre era a macchia di leopardo, con inserti di giochi di color marrone (le piccole bruciature) alternate a spazi gialli (le uova del pollaio di mia nonna Filò facevano un tuorlo arancione vivace, che la combinazione con il latte scioglieva in un giallo carico). Le fette morbide avevano una certa consistenza, ma talvolta, mentre tagliava le fette, sfuggiva qualche frammento e io aspettavo quel momento con il mento appoggiato sull’orlo del tavolo. Oh, che delizia quando mia madre mi diceva: prendi. Continuavo  a succhiarmi le dita per un bel pezzo. Ancora oggi, sogno quel gusto zuccheroso.   
                                                
                    Torta di riso dolce (pasquale) alla moda di mia zia Olga

Zia Olga era la sorella maggiore di mia madre. Imparò a fare la torta dolce quando si è sposata a cinquant’anni. Un matrimonio di convenienza il suo, che le avrebbe assicurato una vita futura abbastanza agiata. Ha continuato a farmi la torta dolce di riso fino a quando il suo cervello ha resistito all’usura del tempo ogni volta che le annunciavo la mia visita. E mentre salivo le scale della casa popolare del Groppino di Aulla in cui abitava, sentivo già sentori di dolce e di anice che mi raccontavano il prossimo piacere della gola.
Ingredienti
1 etto e mezzo di riso
15 uova
4 etti di zucchero
un litro e mezzo di latte bollito
due cucchiai abbondanti di zucchero vanigliato
un bicchiere di anice
un cucchiaino di sale fino
poca scorza grattugiata di limone
Far cuocere il riso in acqua salata.
Sbattere a lungo le uova con lo zucchero, fino a raggiungere una delicata  cremosità.
Unire lo zucchero vanigliato, l’anice, la scorza grattugiata, il sale.
Amalgamare con il riso cotto raffreddato.
Versare tutto in una teglia larga, un po’ di zucchero sopra
Infornare a 180° per un’ora circa, far caramellare fino a brunitura dolce della superficie. Che deve risultare dorata.
Stare molto attenti a mettere una carta oleata sopra, appena inizia a fare la crosticina.

                                                  Le avvertenze di cottura di zia Olga:

“Guarda spesso la torta. Non ti distrarre”. Diceva zia Olga. “Sorvegliala:  è molto importante”.

                                                  I miei “luoghi” della torta di riso dolce

Sono tanti i luoghi in cui ho mangiato una dolce torta di riso. Per una questione di affetto ho voluto citare prima Aulla (dove sono nata nel 1937). Ma l’ultima fetta da grande emozione (era il 26 maggio 2008), l’ho mangiata a San Vitale del Mirteto nelle vicinanze di Massa, dove si fa da tanti anni una frequentatissima sagra della torta di riso dolce. Parto proprio da questa ricetta che gentilmente gli organizzatori hanno trascritto per me, vista la mia passione autentica. E vista l’intercessione della mia amica Anna Battistelli che mi ha portata alla sagra.

       Torta di riso dolce della Maria di San Vitale del Mirteto (Ms)
Ingredienti
un etto e mezzo di riso già cotto in acqua salata
13 uova          
4 etti di zucchero
la buccia grattugiata di un limone
un bicchiere di liquori misti: sambuca, anice, sassolino, alchermes
-Sbattere le tredici uova (bianchi e rossi) con lo zucchero per formare un composto filante.
-Aggiungere la buccia grattugiata del limone, il bicchiere di liquori misti e amalgamare bene tutto.
-Preparare unta di burro una tortiera grande (lo spessore della torta di riso non deve superare il dito).
-Cospargere con un velo di farina e  porvi dentro come base il riso cotto, livellandolo bene con un cucchiaio di legno.
-Sopra il riso porre il composto dolce e filante.
-Infornare per circa quaranta minuti a 200°, facendo attenzione a coprire la teglia con carta da forno se la crosticina tende a colorire troppo.
-Seguire quindi la cottura della torta è assolutamente indispensabile perché la crosticina deve essere uniformemente dorata.



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Besciamella con Olio Extravergine di Oliva

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BESCIAMELLA CON OLIO 
EXTRAVERGINE DI OLIVA
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
3 cucchiai di farina 0
¾ di litro di latte intero
Noce moscata
Utensili di preparazione
La frusta
Un pentolino con il fondo spesso
(oppure usate uno spargifiamma
Un cucchiaio di legno


Procedimento per la preparazione
Preparare la besciamella in un pentolino capiente 
unendo la farina con l’olio extravergine di oliva; 
unire a filo, mescolando con la frusta, il latte intero tiepido. 


Cuocere a fuoco basso, girando continuamente con un cucchiaio di legno, 
 fin quando la crema non comincia ad addensare (la densità finale della salsa 
dipenderà da quanto a lungo verrà cotta la salsa stessa); 
regolare di sale, profumare con una grattata di noce moscata e far raffreddare.
 La besciamella è una salsa bianca di base delicata, 
che viene usata come elemento di partenza
 per molti piatti e composizioni più elaborate.

Gianca lasagna 





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Scaloppe di Pesce, Funghi Porcini, Pinoli

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SCALOPPE DI PESCE, 
FUNGHI PORCINI, PINOLI
Per quattro persone
Ingredienti:
4 fette di pesce freschissimo grosso da trancio
 (ricciola, leccia, tonno, spada) alte circa 2 cm.
Oppure anche di altro tipo sfilettato
4 grandi cappelle fresche di fungo porcino, sode e profumate
2 spicchi di aglio
Farina 0 q.b.
½ bicchiere di vino bianco secco
2 cucchiai di pinoli
Olio extravergine di oliva
Prezzemolo


Utensili di preparazione e presentazione
Un coltello
Un tagliere
Un piatto
Una padella antiaderente
4 piatti piani


Procedimento per la preparazione
Pulire le cappelle dei funghi porcini e asciugarle accuratamente; 
tagliarle a fette spesse e infarinarle (se le cappelle sono piccole si possono anche lasciare intere). Lavare e asciugare le fette di pesce e passarle nella farina. 
Lavare il prezzemolo eliminando i gambi più spessi. 
Scaldare nella padella, con un filo d’olio evo, i due spicchi di aglio, unire le cappelle,
 lasciare cuocere per circa 10 minuti (il tempo di cottura dipende dalla grandezza delle cappelle). Girarle di tanto in tanto in modo che risultino dorate da entrambe le parti. 
Unire le fette di pesce e i due cucchiai di pinoli, cuocerle per 2 minuti per lato, 
sfumare con il vino bianco. Eliminare l’aglio e aggiungere un pochino di prezzemolo tritato. 
Trasferire i tranci bollenti su ogni piatto, coprire con i funghi e i pinoli, 
decorare con una spolverata di prezzemolo e servire.




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La Zucca Fritta

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ZUCCA FRITTA
Per quattro persone
Ricetta Vegana
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
500 gr di zucca Trombetta d’Albenga
Farina 0 q.b.
Qualche rametto di rosmarino
Olio extravergine di oliva o olio di semi di arachide
Sale  fino marino q.b.
Utensili di preparazione e presentazione
Un coltello
Il tagliere
Un piatto
Una padella per friggere
Carta assorbente
Un piatto da portata
Una pinza da cucina


Procedimento per la preparazione
Pulire e tagliare a fette regolari la zucca. 
Lavare, asciugare e tritare finemente le foglie del rosmarino.  
In un piatto mescolare bene la farina con il trito di rosmarino. 
Infarinare le fette di zucca e friggerle nell’olio bollente, girandole spesso.
 Quando saranno dorate da entrambi i lati, trasferirle sulla carta assorbente. 
Una volta terminata di friggere tutta la zucca, disporla sul piatto da portata, 
spolverare di sale e guarnire con qualche rametto di rosmarino.


Note:
Per questa ricetta vanno bene anche le altre varietà di zucca,
 tranne la Mantovana o la Marina di Chioggia, perché troppo asciutte e sode, 
saporitissime ma più adatte ad altre preparazioni.






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Le delizie della zucca

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Le delizie della zucca
di Gabriella Molli

 Anche nei riti giocosi di Halloween c’è di mezzo la Cucurbita. Che altro non è se non la zucca, quella che mettiamo a pezzettini (pochi) nel minestrone o nelle torte di erbi alla moda di Santo Stefano e Aulla. Oppure che mettiamo in frittella come, fa Daniela nella sua ricetta vegana. Ma tanti sono i modi per gustarla al meglio nall'autunno: in tegame, in agrodolce, in bomboloncini fritti dolci, in gnocchi, in cappellacci alla ferrarese, nei tortelli dolci con gli amaretti, in confettura, in mostarda, con riso, alla veneta in terrina con l’uvetta e l’aceto. Insomma le delizie della zucca sono tante. Le famiglie migliori secondo le coltivazioni italiane, sono la moscata e la maxima, che è la zucca d’inverno. Cresce anche nei terreni poveri ed è di una generosità senza pari: dà dei fiori che sono la fine del mondo che possono essere fritti o tradotti in barbotta (nell’Aullese, dove sono nata, era un cibo molto usato). I suoi rami terminali (ricchi di fiorellini, di zucchinetti e foglioline pelose) formano il “borbogion” e servono per una deliziosa zuppa. Oppure da mettere con le zucchine e le patate, nella famosa torta di Pignone. Che per queste sue particolarità si distingue da quella del Casale, a due passi. Così è la vita.  I semi tostati e salati hanno fatto la felicità dei nonni, quando erano bambini e andavano al cinema. Uscendo lasciavano montagnole sul pavimento. In Liguria si trova una zucca assai pregiata: quella di Rocchetta Cengio, in Val Bormida in provincia di Savona. E’ una maxima, perciò legata perlopiù all’inverno. Le trombette liguri sono invece zucche definite ‘Della Riviera’.

il borbogion


La zucca, i miti
E ora passiamo alla zucca che nelle favola di Cenerentola è affidata a una immagine di carrozza. Non a caso c’è stata questa scelta: fin dall'antichità alla zucca è stato assegnato infatti un valore simbolico di trasformazione, di opulenza e di fecondità. Anche se ambivalente (in effetti la zucca in negativo rappresenta l’ignoranza: sei una zucca) in certe accezioni significa anche tenerezza e in questa chiave va letta la sua presenza proprio in Cenerentola. La buona fata vuole che la fanciulla incontri l’amore. E per Halloween? Prima di pensare alle origini di festa delle streghe, facciamoci raccontare cosa era la “morte cicheta” dei tempi dei nonni-quando erano bambini. Racconteranno di quando andavano a rubare le zucche nei campi e con il coltellino foravano la scorza dura, per delineare due occhi, un naso e una boccaccia aperta. La zucca era stata precedentemente svuotata e dentro veniva messa una candela accesa, per rendere più mostruosa la testa. Quando le donne tornavano al buio dal vespro, incontravano questa “morte cicheta” nei crocevia ed era di rito spaventarsi per far ridere i ragazzi.  Ovviamente nascosti.  Un gioco che fa parte di un mondo lontano, ma in delicatezza vince il susseguirsi di petardi e mascherate di un Halloween assolutamente consumistico e, in qualche caso, eccessivo.

Genealogia dei sapori 
La zucca è ipocalorica e sebbene sia considerato un frutto acquoso, offre tanta vitamina A e vitamine del gruppo B. Calcio, fosforo, potassio, magnesio ferro sono i minerali di cui è ricca. E’ ricostituente, sedativa, indicata per intestino, reni, cuore ed è un dolce rimedio contro l’insonnia. Timo e menta sono le erbe odorose che la esaltano. Qualcuno la consuma a fettine sottili sottili anche in insalata. Con un po’ di aceto di Modena di qualità, accompagna deliziosamente un insieme di insalatine amare.  Con qualche fettina di mandorla  senza la buccia, lievemente scaldata e di pinoli, passati sul fuoco appena appena, in un padellino per rilasciare aroma.

Curiosità
Albrecht Durer nel suo ‘San Girolamo nello studio’ dipinge una donna vestita di bianco e giallo, con una corona d’oro in capo e adorna di pietre preziose. Regge uno scettro  nella mano destra, e al suo braccio si avvolge un tralcio di zucca appoggiata ai suoi piedi. La zucca rappresenta la ‘Felicità breve’ perché destinata a vivere pochi giorni come pianta felice: in poco tempo il suo fogliame perde vigore.  Come accade per la felicità.  






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Chef’s Challenge con Massimo Viglietti al Merano Wine Festival

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 Pesce Marinato passata di fragole e acetosella di Massimo Viglietti







Con Massimo Viglietti al Merano Wine Festival 

Il 7 novembre apre la 23^ edizione delMerano Wine Festival, manifestazione organizzata dalla Gourmet’s International e presieduta dal suo fondatore, Helmuth Köcher. La caratteristica del Festival è quella di ospitare ogni anno, nel meraviglioso Kurhaus, palazzo liberty situato nel centro di Merano, produttori selezionati di grandissimi vini e della gastronomia di altissima qualità. Oltre alle già note sezioni dedicate ai vari settori di interesse, (bio&dynamica, Culinaria, Beer Passion, Club Excellence, Wine Master Classes, GourmetArena), la novità di quest’anno sarà Cult2014 Vini nel tempo , "Un evento speciale dedicato ai 41 viticoltori che hanno segnato la storia e l’evoluzione recente del vino italiano. Personaggi e aziende che, attraverso il loro lavoro e la loro tenacia, hanno saputo imporre il proprio marchio sui mercati sia italiani sia internazionali".


Io partecipo allo Chef’s Challenge, nella squadra dei blogger provenienti da varie parti d’Italia e diretti da Carlo Vischi e presentolo show-cooking dello chef stellato ligure che si distingue per la sua originalità, la voglia di sperimentare, provocare e il temperamento decisamente anticonformista, Massimo Viglietti.
Ricordo l’anno scorso,  al mio primo Merano Wine Festival, come se fosse ieri: ero impacciatissima!  Io e Massimo scambiamo due chiacchiere e in un lampo è arrivato il nostro turno. Per farmi coraggio degusto la grappa, giusto per rilassarmi un pochino e lui entra in scena con un piatto colmo di pacchetti di caramelle!!!  Il pubblico è sorpreso e incuriosito, io PARALIZZATA… “vorrei farvi degustare il pesce, che ho già preparato, come se fosse mangiare una caramella, che lentamente si scioglie in bocca e rilascia lentamente sensazioni”. 


Ecco, il suo antipasto:  Pesce Marinato passata di fragole e acetosella (Spatola del mar ligure, che ha riposato per dodici ore, in una marinatura con diversi sali aromatizzati, vari tipi di zucchero, the e caramelle alla menta), è già quasi pronto e lo show-cooking è stato scartare caramelle e chiacchierare della sua professione, nata per caso e cresciuta di anno in anno,  grazie anche ai genitori che non hanno mai ostacolato il suo desiderio di fare nuove esperienze, che hanno dato a Massimo  passione e opportunità di pensare al ristorante in maniera differente e di viaggiare con le sue creazioni come Corto Maltese, l’eroe dei fumetti di Hugo Pratt, l'eroe preferito da Massimo.
Tra pochi giorni ci incontreremo di nuovo e Massimo ci racconterà oltre che della sua nuova ricetta, anche dell' esperienza romana che sta vivendo all' Enoteca al Parlamento Achilli 
Sono curiosissima!

Massimo Viglietti e Carlo Vischi





I Barbagiuài

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I BARBAGIUAI
Per sei persone
Ricetta della Tradizione, originaria di:
Camporosso e Vallecrosia (IM)
Ricetta Vegetariana
Ingredienti 
(per tre dozzine circa)
Per il ripieno:
Un pezzo di zucca matura e soda, circa un kilogrammo
Un uovo
150 gr di riso (o di purea di fagioli di Pigna)
100 gr di pecorino e/o Parmigiano reggiano
Uno/due cucchiai di brussu 
(in alternativa Prescinseua o ricotta di pecora)
Maggiorana 
Olio extravergine d’oliva, q.b.
Sale q.b.
Per la sfoglia:
400 gr. di farina 0
6 cucchiai di olio extravergine di oliva
Acqua e sale, quanto basta
Olio extravergine di oliva o di arachide per friggere


Utensili di preparazione e presentazione
La spianatoia
Il matterello
Una pentola
Una terrina
Un coltello
La rotella dentata per la pasta o il coppapasta
Un cucchiaio di legno
Friggitrice o una padella capace
Una pinza da cucina
Carta assorbente


Procedimento per la preparazione
Impastare la farina con acqua tiepida, l’olio evo e il sale,
 fino a formare un impasto morbido e sodo; 
lasciarlo avvolto nella pellicola o in un contenitore chiuso, in modo che non si asciughi.
Pulire la zucca, tagliarla a pezzi e metterla in forno a 160°/180°, 
fino ad ottenerne la cottura.
Cuocere il riso, mantenendolo al dente, scolarlo e trasferirlo in una terrina; 
aggiungere il brusso, il Parmigiano reggiano grattugiato, la polpa della zucca schiacciata con una forchetta, il sale, l’uovo e la maggiorana finemente tritata, mescolando bene.
Stendere la sfoglia con il mattarello, in strisce della larghezza di dieci centimetri circa; 
a distanza regolare disporre dei mucchietti di ripieno; 


rovesciare la pasta sul ripieno stesso e saldarla premendo con le dita; 
infine ritagliare i “ravioloni” con la rotella dentata o con un coppapasta. 
Friggere in una padella in abbondante olio evo bollente, 
fino a che non diventano dorati e croccanti. 
Passarli su un foglio di carta assorbente da cucina per far assorbire l’unto in eccesso.
Servirli caldi, ma sono ottimi anche freddi.
Note:
 Il nome dialettale di questo raviolo fritto deriverebbe dall'inventore della ricetta, 
un tale zio (“barba” in ligure) Giovanni (“Giuà”), che pare fosse un ottimo cuoco.
Il successo di questo piatto sta probabilmente nell'unione del dolce della zucca 
con il gusto deciso e piccantino del brussu o brusso
 (la ricotta fermentata tipica delle vallate dell’entroterra di Imperia).
Il Barbagiuà, presente dal Principato di Monaco (dove viene chiamato Barbagiuan
a Bordighera, fino a Pigna e tipico dell'entroterra ventimigliese, 
è festeggiato nella terza domenica di settembre
 nella Val Nervia, a Camporosso dove si svolge la tradizionale Sagra dei Barbagiuài: 
oltre ai festeggiamenti religiosi in onore della santissima Addolorata, 
si distribuiscono fino a 6000 ravioli fritti in piazza in un'enorme padella.
Spesso sono serviti come antipasto e proposti con molte varianti da paese a paese, 
ad esempio con un ripieno a base di bietola invece che di zucca, 
con una purea di i fagioli di Pigna , con o senza riso, con la ricotta in sostituzione del brussu.
Oggi è consuetudine mangiarli appena fritti, ma un tempo i contadini li preparavano la sera
per mangiarli il giorno dopo, quando si allontanavano da casa per andare a lavorare nei campi.
Nel periodo dell’anno in cui manca la zucca, con la stessa procedura usata per “i Barbagiuài”,
 si preparano i “Pansaròti o Pansaoti”, sostituendola con sei etti tra borragini e spinaci 
(o bietole) puliti, bolliti e strizzati.
Un’altra variante, senza un nome particolare (che ricorda molto i Gattafin di Levanto), 
prevede zucca e borragini insieme, mescolati con ricotta e formaggio grattugiato.






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Focaccia con Salsiccia e Rapini

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FOCACCIA CON SALSICCIA E RAPINI
Per quattro persone
Ingredienti per la focaccia:
500 grammi di farina “0”
½ cubetto di lievito di birra
230 gr. circa di acqua
Olio extravergine di oliva 
1 cucchiaino di sale fino marino
1 goccia di miele
Ingredienti per il ripieno:
600 gr di rapini
2 salsicce di Pignone o artigianali
1 spicchio di aglio
Olio extravergine di oliva
Utensili di preparazione e presentazione
Una spianatoia
Una tazza
Una pentola
Un tegame antiaderente
Un coltello
Un matterello
Un cucchiaio di legno
Un pennello da cucina
Una teglia antiaderente di 38 cm di diametro o rettangolare 30 x 35 cm.
Procedimento per la preparazione


Mettere la farina nella terrina, aggiungere il sale fino e mescolare.
Sciogliere mescolando il lievito e il miele (che serve ad attivare il lievito) 
nella tazza con l’acqua tiepida, versare al centro e impastare bene a lungo.
Lavorate bene, in modo da ottenere un impasto omogeneo, morbido e sodo.
Trasferire l’impasto nella terrina e lasciar lievitare, al riparo dalle correnti,
 per 35/40 minuti circa (io lo metto nel forno a 30°). 


Impastare nuovamente, dividere in due pezzi uguali e far riposare per circa un’ora.
Intanto pulire i rapini, scottarli in una pentola con acqua leggermente salata bollente; 
dopo pochi minuti scolarli e trasferirli in un tegame con le salsicce private del budello e sbriciolate grossolanamente; unire lo spicchio di aglio intero e pulito; far insaporire ed asciugare per pochi minuti, girando ogni tanto; eliminare l’aglio e regolare eventualmente di sale. Dividere in due l’impasto e stendere la prima metà per foderare la teglia, unta precedentemente con po’ di olio.
Versare la verdura con la salsiccia e coprire con il secondo disco di pasta.
Fare una leggera pressione su tutto il bordo per chiudere la focaccia, 
spennellare di olio ed infornare a 250° per 30 minuti circa. 
Servire immediatamente.










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Riflessioni, pensando ai barbagiuai

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Catena di riflessioni, pensando ai barbagiuai
di Gabriella Molli
(con la ricetta dei Grafignun di Faggiona)
 Leggo la ricetta dei barbagiuai di Daniela e mi vengono in mente i gattafin di Levanto
 e anche i panzarotti di Vezzano Ligure. 
E poiché ricetta richiama ricetta, ecco quella dei grafignun, che sono in molti a non conoscere.
Un tempo i ‘grafignun’ venivano fatti durante il carnevale. 
La ricetta è tratta dal libro ‘Val di Vara’ a cura di 
Simonetta Maccione e Giuseppe Marcenaro - Sagep, 1999

Grafignun di Faggiona*
Ingredienti
Erbi in abbondanza
2-3 uova intere
Formaggio stagionato /pecorino o grana/
Olio d’oliva extravergine
Sale qb
Per la sfoglia
Farina-acqua-sale qb
Come si fa
-Si prepara una sfoglia abbastanza fine. Si fanno bollire per qualche minuto gli erbi
-Si scolano e si tagliano grossolanamente a coltello
-Si forma l’impasto del ripieno con gli erbi, le uova, abbondante formaggio grattugiato e sale
-Quando l’impasto è ben amalgamato, si stende su metà della sfoglia e con l’altra metà si ricopre
-Con uno stampino o una rotella si tagliano i ‘grafignun’ tondi o a losanghe
-Si friggono in un padella in olio abbondante con olio bollente
-Nel ripieno alcuni mettono anche qualche manciata di riso precedentemente bollito

*La ricetta è stata raccontata agli autori da Angela Maria Brusco, nata a Faggiona nel 1912.

Hanno una valenza simbolica i grafignun della Val di Vara? L’hanno i panzerotti di Vezzano? 
Sì, se uno crede che nei tempi che hanno preceduto la storia, 
cibo e religione fossero collegati per un bisogno di sicurezza. 
Io appartengo a questa tipologia di pensiero. Due i miei grandi maestri:
 Piero Camporesi e Giuseppe Mantovano. 
Come accade sempre nelle mie analisi di un piatto, è la forma che mi prende subito.
Ambedue (barbagiuai e grafignun) sono contenitori di pasta, quadrati, a losanga, a mezzaluna, rettangolari. Contengono un ripieno e sono fritti per immersione. 
Quindi sono mediterranei. Il fritto viene da lì. E a insegnarlo furono i Greci 
(lo dice anche uno studioso che ora è a capo dell’Accademia Italiana della Cucina, Giovanni Ballarini). Trovo in queste due particolari elaborazioni racchiuse nella sfoglia, 
un riferimento preciso a riti della fertilità di antiche radici. 
Aggiungo che mi voglio soffermare sul concetto di ricetta come viaggio. 
Intendo dire viaggio mentale dentro l’atto del cucinare, con alcune ulteriori riflessioni. 
Non possiamo servire nel piatto la melanzana, come la natura ce la fornisce. 
La melanzana è un esempio, ma sono tanti i prodotti dell’agricoltura che vanno manipolati, 
come accade per quelli della pesca e dell’allevamento. 
Anche quando si parla di “crudo” c’è manipolazione. 
Ecco quindi che occorre identificare l’atto artistico con l’atto del cucinare. 
Perché atto che non dipende solo dagli ingredienti, ma dal lavoro dell’artista. 
E qui voglio rivendicare ancora (e di nuovo) il ruolo d’artista della donna. 
Quando cucina interviene la sua anima. 
Il suo bisogno sempre troppo disatteso del darti il “bello da mangiare”.
Sì, quelle striscioline che mette sulla crostata di marmellata, sono passate nelle sue mani, 
magari le ha attorcigliate e poste al limite della teglia per abbellire. 
Un lavoro a favore del bello, il suo.
E anche qui mi rifaccio al “pensiero” devozionale che accompagna il suo fare. 
Questa torta è bella perché l’idea del grano, la noterà e mi aiuterà a fare un figlio forte e sano. 
Persino le striscioline di pasta che dividono la superficie della torta in losanghe 
sono il simbolo della nascita, delle fasce miniaturizzate. 
Parlano di invocazione di fertilità e vita. Quindi non sono lì per caso.
 E la stessa forma della losanga, rimasta fino a oggi in molti biscotti e nella pasta, 
è l’attestazione di una geometria della devozione di stampo femminile. Il doppio triangolo.
Storia di donne, di invocazioni mute. Gli uomini guardano alle mirabilia. 
La donna invoca. Quindi guardando nelle cucine del mare nostrum, il tondo, la mezzaluna, 
la forma a otto, il buccellato con il buco, la pasta piegata in tondo dei ravioli, 
il pane spaccato dalla linea dritta, la doppia sfoglia sotto e sopra per formare un ventre che cresce,
 il pane a treccia, i barbagiuai, i panzarotti-i grafignun (tanto per fare ancora tre esempi) 
sono collegati dal sottile filo rosso dell’offerta-richiesta.





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Marcello D’Erasmo al Merano Wine Festival

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Se è uno chef della pizza, lo presento io ;)
Succede che sono al Merano Wine Festival per il secondo anno, nella Gourmet Arena con i blogger che affiancano i partecipanti alla Chef’s Challenge e ho la fortuna di presentare (visto che ne vado matta) lo chef della pizza Marcello D’Erasmo.  Conosco Marcello pochi minuti prima di andare in scena e subito capisco che è un pizzaiolo speciale. Con orgoglio mi racconta di Mamma Rosa, la pizzeria ad Ortezzano (FM) dove scatena la sua creatività da 35 anni. 



Ci tiene a spiegarmi che il successo delle sue pizze è dovuto alla sua passione e alla cura degli ingredienti e della lavorazione: le farine utilizzate sono solo quelle di grani italiani e marchigiani e la lunga lievitazione con impasto di riporto, le rende particolarmente fragranti e digeribili; le mozzarelle di bufala provengono da un allevamento selezionato e la cottura avviene esclusivamente nel forno a legna. L’ultimo importante riconoscimento ricevuto è il Marchio Eccellenza Italiana Expo 2015, nel 2012 ha vinto il titolo di campione del mondo di pizza napoletana STG, ha ricevuto “Tre Spicchi” dalla Guida Gastronomica Gambero Rosso e adesso si sta preparando per una nuova esperienza a Dubai.

Pizza fritta al forno, al nero di seppia di Marcello D'Erasmo (foto di Monica Bergomi)

Ed ecco che tocca a noi! Presento al pubblico (con un folto gruppo di fans marchigiani) Marcello e due ricette gourmet che ha portato per lo show cooking e la degustazione: pizza fritta al forno, al nero di seppia,(con totani al pomodoro, bufala, pecorino croccante…una tavolozza di sapori!) e focaccia con stracciatella di bufala, brodo e Tartufo bianco dei Monti Sibillini!

Focaccia con stracciatella di bufala, brodo e tartufo bianco dei monti Sibillini (foto di Alessia Bianchi)


Scatta l’applauso e si unisce a noi anche la moglie, che era dietro le quinte. Marcello è emozionato e mi confida: “la soddisfazione più grande è avere al mio fianco in questa avventura mia moglie Paola e le mie figlie”

Daniela Vettori e Marcello D'Erasmo al Merano Wine Festival (foto di Alessia Bianchi)





Zuppa autunnale con le castagne

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CREMA DI FAGIOLI CON FARRO E CASTAGNE
Per quattro persone
Ricetta Vegana
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
200 g di fagioli borlotti secchi (o 400 g freschi)
Verdure da brodo (sedano, cipolla, carota)
1 cipolla dolce rosa
150 g di castagne lessate e sbucciate
200 g di farro perlato
2 foglie di alloro
Olio extravergine d'oliva
Sale fino marino q.b.
Pepe
Utensili di preparazione e presentazione
Una terrina capiente
Un cucchiaio di legno
Il colapasta
Il frullatore a immersione o il mixer
Una pentola in coccio o con fondo spesso
Un pentolino
Un mestolo
Un coltello


Procedimento per la preparazione
Mettere a bagno i fagioli secchi in abbondante acqua fredda per circa 12 ore 
(è consigliabile effettuare questa operazione la sera e lasciarli a mollo tutta la notte, 
per poi realizzare la ricetta il giorno dopo), dopodiché scolarli e cuocerli 
(con le verdure da brodo) per circa 1 ora/1 ora e 1/2. 
È consigliato salare l'acqua verso la fine della cottura e usare una pentola di coccio
 oppure una pentola di acciaio Inox con il fondo spesso. 
A fine cottura separare i fagioli dal brodo di cottura e conservarlo. 
Pulire e tagliare finemente la cipolla e farla stufare lentamente con qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva, nella pentola; unire i fagioli appena cotti e mescolare. 
Aggiungere del brodo di cottura e far bollire il tutto per qualche minuto. 
Togliere dal fornello e con il frullatore a immersione (o il mixer) 
ridurre a una crema omogenea. Portare di nuovo a bollore il passato di fagioli
 e unire il farro sciacquato, l’alloro e le castagne. 


Far cuocere, mescolando ogni tanto e aggiungendo, se necessario, 
qualche mestolo del brodo dei fagioli tenuto da parte. 
Servire con un filo di olio evo crudo e una macinata di pepe.









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La Torta di Finocchi

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TORTA DI FINOCCHI
Per sei/otto persone
Ingredienti:
Per la pasta sfoglia:
300 gr di farina 0
4/5 cucchiai di olio extravergine d’oliva
½ cucchiaino di sale fino marino
Per il ripieno:
1,5  kg di finocchi femmina (di forma allungata)
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
3 uova fresche
100 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
Sale fino marino
Utensili di preparazione e presentazione
La spianatoia
Il matterello
Una terrina
Un coltello
Un tagliere
Una pentola
Una casseruola
Un cucchiaio di legno
Una teglia rettangolare da forno


Procedimento per la preparazione
Preparare la pasta: disporre la farina a fontana sulla spianatoia,
versare nel centro 2 cucchiai di acqua e l’olio, 
salare e impastare bene fino a ottenere una pasta elastica; 
lasciarla riposare mezz'ora, coperta in luogo tiepido.
Preparare il ripieno: scaldare l’olio in una casseruola
 e aggiungere i finocchi puliti e tagliati a fettine sottili, insaporire con un pizzico di sale;
 far stufare a fuoco basso, con il coperchio, girando ogni tanto senza aggiungere acqua, 
finché non saranno cotti.
Sbattere le uova insieme al Parmigiano e unirle ai finocchi, mescolando bene; 
Dividere la pasta in due parti, una leggermente più grande dell’altra e tirarle con il matterello;
Ungere la teglia con l’olio e stendervi la sfoglia più larga,
facendola debordare di 2-3 centimetri.
Versare il ripieno e livellarlo col dorso del cucchiaio.
Coprire con la seconda sfoglia e sigillare, ripiegando su se stessi, gli orli delle due sfoglie;
spennellare la superficie con un po’ d’olio.
Cuocere in forno a 200°C per circa 35/45 minuti, 
fin quando la sfoglia non risulta dorata.
Sfornare e servire tiepida o fredda.









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Finocchi indorati e fritti, una ricetta per la vigilia di Natale

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Storie di finocchi
Gabriella Molli
La torta di finocchi di Daniela mi ricorda altri modi di consumare questo profumato prodotto della terra, che ormai troviamo tutto l’anno. E voglio qui ricordare che ho imparato da mio nonno Domenico, mentre li estraeva dalla terra, a distinguerli in ‘maschi’ e ‘femmine’. E’ una storia strana questa distinzione, ma vale la pena parlarne. I maschi hanno forma rotonda, panciuta, globosa. Sono dolci, teneri e saporiti tanto da sfiorare il profumo dell’anice. Sono molto adatti quindi a essere mangiati crudi.
I secondi (le femmine) sono affusolati, di forma ovale, slanciati, ma spesso (troppo spesso fibrosi). Il loro aroma spesso degenera in modo opprimente: ma sono adatti a essere cotti e passati nel burro. Oppure a essere tuffati e ‘sbollentati’ in acqua salata per destinarli a un bel piatto di finocchi indorati e fritti. L’aggettivo ‘indorati’ vi avrà già fatto capire che c’entra l’uovo. 
Ecco la ricetta in uso per la vigilia di Natale. Quindi una ricetta invernale speciale che era fra le tradizioni natalizie acquisite da mia madre da un’anziana vicina di origini del Sud (i suoi erano arrivati alla Spezia in tempo di costruzione dell’Arsenale). 

Finocchi indorati e fritti 

Pulire e tagliare a spicchi sottili 4 bei finocchi femmina. Lavarli con molta cura e sbollentarli in acqua salata. Scolarli bene e asciugarli accuratamente. Sbattere 3 uova con sale e un cucchiaio di parmigiano grattugiato. Immergervi gli spicchi dopo averli infarinati leggermente. Friggerli pochi alla volta in olio ben caldo e stare molto attenti che siano dorati in tutte le parti. Servirli caldi e croccanti, ben scolati dell’olio, cosparsi di un volo leggero di sale grosso ‘triturato’ nel mortaio. 

Ma c’è un’altra ricetta invernale che ricordo con particolare emozione e che spesso ripropongo: 

Insalata agrodolce di finocchi, arance, uvetta, pinoli.

Tagliare a fette sottilissime quattro finocchi maschi e metterle a raggiera nel piatto grande ovale bianco, orlato di oro (quando ero piccola, quel piatto era il segno delle feste). 
Far seguire una corona di fette d’arancia senza la buccia  e il bianco. 
E ancora tante fettine sottili di finocchio per coprire interamente il centro della superficie del piatto. Condire con un filo d’olio di frantoio, una manciatina di pinoli, una di uvetta di Corinto senza il seme. Qualche goccia di aceto bianco di qualità. Un velo di sale marino grosso ‘triturato’ nel mortaio. Servire con qualche ciuffettino verde.


Durante una ricerca sulla vecchia cucina di casa spezzina, svolta presso alcuni centri sociali del comune capoluogo, parlando delle frittelle per la vigilia di Natale, ho appreso che era in uso mettere cardi, cavolfiore, carciofi, finocchi a sbollentare interi. Per poi tagliarli quando sono freddi a spicchi. Quindi vanno passati nell’uovo e poi in una pastella leggera (acqua-farina-sale), per poi friggerli pochi alla volta in olio di frantoio caldo. Qui voglio soltanto soffermarmi sul fatto che la pastella ‘avvolge’ ciò che ha ‘dentro’. Sembra incredibile, ma c’è un riferimento nelle frittelle collegandole a un rito in uso in tempi di religione naturale, per chiedere una maternità felice. Lo stesso uovo, che ci sembra un ingrediente insaporitore, è un simbolo di vita. 

 Note di cultura gastronomica 

La storia del finocchio è molto antica.
Comincia dalla pianura di Maratona, località della Grecia che fu teatro della famosa battaglia che vide affrontarsi Ateniesi e Persiani, dove in origine il finocchio cresceva spontaneo e proprio per questa ragione gli antichi lo chiamavanomarathon.
Infatti il finocchio è una tipica pianta mediterranea, che già in Grecia apprezzavano e che dai Romani fu diffusa in tutta l'Europa continentale.
Plinio racconta che i serpenti si sfregano contro la pianta di finocchio, dopo aver cambiato la pelle, per riacquistare la vista, e in relazione a questa storia afferma che il finocchio è ottimo nella cura degli occhi.
L'affinità con i serpenti, secondo le credenze popolari antiche, dava al finocchio anche la virtù di essere un forte antidoto contro la morsicatura dei rettili velenosi.
In latino il finocchio era foeniculum,diminutivo di foenum,"fieno": derivato da un'antica lingua indoeuropea,*dhe-, che significa "succhiare" latte, acqua e nutrimento. A questa famiglia di parole appartiene anche fetus, "il nuovo nato, il feto, la nuova vita".
Il posto che il finocchio occupa nelle manifestazioni religiose antiche ne riallaccia la simbologia a un'idea di rinascita, o meglio ancora, di rigenerazione spirituale.
A conferma della durevole fortuna dei finocchi attraverso i secoli, ci sono due storiche ricette,  la prima di Francesco Leopardi, cuoco di Caterina seconda di Russia e l’altra di Vincenzo Agnolotti, credenziere alla corte di Maria Luigia, duchessa di Parma.  Ma Artusi riporta solo tre ricette. Troppo volgari i finocchi per i suoi sontuosi pranzi borghesi?


Il Pane dolce per la Vigilia di Natale

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FOCACCIA DOLCE DELLA VIGILIA
Per sei/otto persone
Ricetta della Tradizione, originaria di Sarzana (SP)
Ricetta Vegana
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
500 g di farina 0 setacciata
½ cubetto di lievito di birra
120 g di zucchero
1 pizzico di sale
50 ml di olio extravergine di oliva
50 g di uvetta
25 g di pinoli
1 cucchiaino di semi di finocchio
Per la decorazione
Vino e zucchero


Procedimento per la preparazione:
Mettere a bagno uvetta e semi di finocchietto. 
In una terrina diluire il lievito con poca acqua tiepida e un cucchiaino di zucchero,
 poi mescolarlo con 50 grammi di farina, coprire e lasciate fermentare per circa 30 minuti. 
Disporre la restante farina a fontana sul piano di lavoro, al centro mettere lo zucchero avanzato,
 il pizzico di sale, l’impasto con il lievito, l’olio evo e lavorare con acqua tiepida
 fino a ottenere una consistenza liscia, soda ma morbida. 
Scolare e incorporare l’uvetta con i semi di finocchio e i pinoli. 
Trasferite l’impasto in una terrina imburrata, coprite e lasciate lievitare
 per 1 ora lontano dalle correnti d’aria. 
Quando la pasta avrà raddoppiato il volume, trasferitela sul piano di lavoro, 
darle una forma rotonda e adagiarla in una teglia foderata con la carta da forno. 
Farla lievitare ancora per circa 2 ore in un luogo tiepido. 
Al momento di cuocerla, spennellare con vino e zucchero, 
praticare un taglio a triangolo sulla superficie e mettere in forno caldo a 190° per circa 45 minuti. Lasciare raffreddare a temperatura ambiente, 
quindi trasferire la focaccia dolce sul piatto da portata.






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