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La mia Cima Ripiena preferita

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LA CIMA RIPIENA
Per quattro persone
Ricetta di Le Cinque Erbe
Ingredienti:
Per la cima
Una larga fetta di pancia di vitello
di circa 1 kg, cucita a tasca
300 gr di bietole e borragine
150 gr di polpa di vitellone o manzo a pezzetti
100 gr di mortadella
2 uova
2 carciofi o 70 gr di piselli (secondo la stagione)
100 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
Un po’ di mollica bagnata nel latte
Un cucchiaio di pinoli
Aglio
Maggiorana
Olio extravergine di oliva
Sale
Per il brodo
Una carota
Una cipolla
Un gambo di sedano


Utensili di preparazione e presentazione
Un tegame antiaderente
Un cucchiaio di legno
Un tagliere
La mezzaluna
Una terrina
Un cucchiaio
Una pentola dai bordi alti
Un ago da lana o stecco per spiedino


Procedimento per la preparazione
Rosolare con qualche cucchiaio di olio evo, la carne nel tegame.
Pulire e lessare le verdure (scottare a parte i piselli o i carciofi in poca acqua salata).
 Scolarle e strizzarle. Tritare finemente carne e verdure e metterle nella terrina; 
aggiungere l’aglio pulito e tritato, i piselli o i carciofi affettati sottilmente,
 la mollica di pane ammollata e strizzata, le uova sbattute e il Parmigiano, la maggiorana tritata. Mescolare e regolare di sale. Quando sarà tutto ben amalgamato, 
riempire con il composto la sacca di pancetta di vitello e cucire con il refe l’apertura
 (non riempitela troppo perché cuocendo il ripieno tende a gonfiare e farebbe scoppiare la cima). Punzecchiare con un ago da lana o uno stecco per spiedino, la carne esternamente. 
Riempire di acqua salata la pentola, immergervi la cipolla, la carota e il sedano puliti e la cima. 
Lasciar bollire lentamente per un’ora e mezza circa, forandola di nuovo se si gonfia troppo. 
Mettere la cima in un piatto e schiacciarla con un altro piatto e un peso per un paio d’ore, 
per far uscire il liquido di cottura. 
Affettare e servire tiepida,accompagnata da salsa verde
 o del buon olio extravergine di oliva ligure.


Note:
La cima ripiena (tipica del Natale) è un meraviglioso piatto di recupero della cucina 
tradizionale genovese in evoluzione come molti altri: 
un tempo per la farcia si utilizzavano poppa, cervello, testicoli, schienale e animella; 
oggi queste parti si trovano con difficoltà, quindi la ricetta del ripieno si è un po’ modificata,
 diventando un piatto appetitoso, profumato e digeribile. 
I suoi colori caldi e invitanti rallegrano la tavola e il brodo che si ottiene dalla sua preparazione 
è leggero e adatto per cuocervi la pasta.
Come accade per molte altre ricette, ogni famiglia ligure ha la sua  
variante che rispecchia i gusti e le usanze tramandate.
Questa è la mia cima ripiena preferita.










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La Spongata

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LA SPONGATA
Per quattro/sei persone
Ricetta della Tradizione, originaria di Sarzana e della Lunigiana
Ricetta Vegetariana
Ingredienti per la frolla:
250gr di farina bianca 0
100gr di zucchero
1 uovo
150gr di burro a temperatura ambiente
Vino bianco
Sale
Ingredienti per il ripieno:
150gr di marmellata di mele o fichi
30gr di pinoli e/o noci
30gr di mandorle
30gr di canditi di agrumi
Qualche fico secco a pezzetti
Un po’ di cannella
Per la glassa:
3 cucchiai di zucchero


Utensili di preparazione e presentazione
La spianatoia
Un coltello
Un cucchiaio
Un setaccio
Il matterello
Una terrina
Pellicola per alimenti
Una tortiera da forno di 30cm di diametro circa


Procedimento per la preparazione
Setacciare la farina sulla spianatoia con un pizzico di sale, 
disporla a fontana e nel mezzo mettere lo zucchero e il burro tagliato a dadini, 
rompere l’uovo ed impastare velocemente. 
Se l’impasto risultasse troppo duro aggiungere uno o due cucchiai di vino bianco. 
Formare una palla, coprire con la pellicola e far riposare. 
Mettere nella terrina la marmellata con i canditi, 
la cannella e la frutta secca e amalgamare bene.


Dividere l’impasto in due parti, delle quali una un po’ più grande dell’altra. 
Tirare due dischi con il matterello, con la più grande foderare la teglia, 
precedentemente unta con un po’ di olio o burro e spolverata di farina; 
versare il ripieno e coprire con l’altro disco di frolla. 
Saldare i bordi, togliendo la pasta in eccesso.
 In un bicchiere sciogliere lo zucchero con un cucchiaio di acqua 
e stendere la glassa sulla superficie della Spongata. 
Cuocere in forno a 180° per 30min circa.
Servire fredda










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Linguine al limone e Seppioline novelle

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LINGUINE AL LIMONE 
E SEPPIOLINE NOVELLE
Per quattro persone
Ricetta di Le Cinque Erbe
Ingredienti:
500 gr di farina di semola di grano duro
1 limone non trattato
(io ne ho usato uno profumatissimo di Monterosso, 
nelle Cinque Terre)
Qualche foglia di prezzemolo
Una bella macinata di pepe nero
Acqua tiepida q.b.
Sale fino e grosso marino
Ingredienti per il sugo:
600 gr di seppioline novelle
5 cucchiai di olio extravergine di oliva
½ bicchiere di vino bianco secco
2 spicchi di aglio puliti e interi
Qualche foglia di prezzemolo
Sale marino


Utensili di preparazione e presentazione:
Il setaccio
La spianatoia
La grattugia  
Il matterello
Un coltello
La macchina per la pasta
La pellicola per alimenti
Una pentola grande
Un colapasta
Un tegame antiaderente
Un cucchiaio di legno
Quattro piatti


Procedimento per la preparazione
Per le linguine:
Su una spianatoia setacciare la farina mettendola a fontana;
aggiungere un pizzico di sale, la scorza del limone lavata e grattugiata,
 il prezzemolo tritato finemente e gradatamente l’acqua.
Impastare bene, fino ad ottenere un impasto non troppo duro, elastico e compatto.
Avvolgerlo nella pellicola per alimenti e far riposare mezz'ora.
Con il matterello tirare un po’ la sfoglia, poi passarla nella macchina per la pasta,
 fino ad ottenere lo spessore di  3/4 mm circa e tagliare le linguine.
Adagiarle sulla spianatoia leggermente infarinata.
Pulire le seppioline, eliminando le ossa ed i becchi posti tra i tentacoli. 
Sciacquarle e scolare bene l’acqua in eccesso.


Mettere la pentola, per cuocere la pasta, sul fuoco con sale e abbondante acqua.
In un tegame scaldare l’olio extravergine di oliva e gli spicchi di aglio.
Aggiungere le seppioline e mescolare. Insaporire per minuti
bagnare con il vino bianco e far evaporare per altri 5 minuti. 
Eliminare gli spicchi di aglio, unire il prezzemolo tritato. 
Cuocere le linguine per 5-6 min. circa.
Scolarle al dente e unirle al sugo di seppioline nel tegame, far insaporire bene.
 Impiattare e servire








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La Liguria e la Lunigiana si incontrano nei Testaroli al Pesto

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I TESTAROLI 
AL PESTO
Ricetta della Tradizione, originaria di: 
Pontremoli - Lunigiana 
e Genova - Liguria
Ingredienti:
600 gr di farina 0
½ litro di acqua
Sale
Per il pesto clicca il link 
qui sotto

Testaroli della Lunigiana
Utensili di preparazione e presentazione
Il camino
Un contenitore grande tipo zuppiera
Un testo con coperchio in terracotta o metallo
Un cucchiaio di legno
Un guantone da camino
Un mestolo
Due grandi panni di cotone o canovacci
Un tagliere
Un coltello
Una pentola con coperchio
Una schiumarola


Procedimento per la preparazione
Preparare nel recipiente con gli ingredienti, una pastella morbida e abbastanza fluida. 
Scaldare il testo di base (detto sottano) di terracotta o metallo, 
versarvi la pastella cercando di distribuirla in maniera uniforme,
 fino ad uno spessore di circa ½ cm. 
Mettere il coperchio (soprano) e far cuocere sulla brace da 5 a 10 minuti; 
controllare, sollevando il coperchio, che la pasta abbia assunto l’aspetto caratteristico 
di una cialda omogenea e compatta, con tanti forellini dovuti all'evaporazione dell’acqua. 
Estrarre il disco di pasta e farla raffreddare tra due panni di cotone. 
Mettete sul fuoco la pentola con abbondante acqua salata; 

Testaroli al pesto

mentre si scalda, tagliare il testarolo in losanghe
di circa cinque/sei centimetri per lato. 
Quando l’acqua bolle, versatele nella pentola, coprire, spegnere il fuoco  
e tenere in ammollo per un paio di minuti.
 (se il testarolo è appena fatto, si può scendere anche a un minuto)
 Trasferirle nei piatti e condire via via con pesto e formaggio grattugiato,
oppure sugo ai funghi o semplicemente con buon olio extravergine di oliva
 e pecorino o parmigiano grattugiati al momento.

Testaroli al pesto


testo in ghisa per la cottura dei Testaroli [foto da Google]
Note
di Gabriella Molli
Testaroli al pesto. Come dire. Apparentemente due mondi, due areali, due storie: Lunigiana storica e Genova. Intendendo con ciò due felici prodotti, esito perciò di situazioni gastronomiche in evoluzione. Acqua-farina-(sale) per la prima, medium il “testo” per la cottura. Basilico-olio-aglio-(sale) per la seconda, medium il mortaio. Qualcosa, però, mi suggerisce un percorso comune alle due situazioni. E qui mi collego alla storia dei Liguri Apuani. Forte del fatto che anche a Chiavari si fanno i “testaiu”. Nella cucina del monte Gottero c’erano i testaò. Dunque esiste un percorso di usanze gastronomiche concentrate sul testo che diventa anche marcatore di civiltà. E prendo come anello di collegamento delle mie affermazioni due testi: “Gli antichi liguri nel golfo della Spezia” di Valerio Matteo Botto (Luna Editore, 2000) e “Le antiche ricette del Monte Gottero” di Carlo De Vincenzi (Buto Cultura, 2011).
Per il pesto visto che l’usanza genovese si è attestata nel tempo sulla triade basilico-aglio-pinoli, voglio far notare che in Alta Val di Vara nell’inverno si attesta invece l’uso esclusivo delle noci con aglio-olio (pistu de nuse). Ma sempre di pesto si parla. Come se il mortaio fosse anch’esso un marcatore di civiltà. Siamo nel campo delle interpretazioni antropologiche e sul filo di fatti non provati. Non avendo documenti tramandati, in questo caso occorre agire proprio sulla scia delle probabilità. E chissà perchè quando in cucina parliamo di “testi” ci sentiamo sulla pelle una storia romana. Eppure la nostra Lunigiana era parte di una estesa Liguria. Qui vivevano i Liguri Apuani, che i Romani abituati a essere ovunque padroni, hanno sottomesso dopo una lungo accerchiamento. Solo perché erano in tanti, li hanno ridotti in catene. A loro servivano uomini intelligenti e forti. E i Liguri lo erano. Ecco perchè i Romani li hanno presi e portati nel Sannio.
Tanto per capirci, la Lunigiana antica, quella di cui parliamo (e di cui tanto Pontremoli che tutto l’arco genovese fanno parte) va vista in un quadro geografico che grosso modo corrispondeva nel primo Medioevo a una grande terra, che si estendeva dai confini con Lucca e Pisa, a quelli con Chiavari, per salire verso l’Appennino tosco-emiliano. Diciamo che questo arco vasto era abitato da un popolo forte molto civilizzato. Nel castellare di Zignago sono state trovate tracce di semi di granaglie: i romani sono venuti a impossessarsi delle terre dei Liguri Apuani perchè  dominare in modo assoluto era una legge. Tutto doveva diventare romano. Quindi togliendo la libertà, cercavano di eliminare anche la forza dell’identità. Per fortuna non sono completamente riusciti in questa impresa. A leggere quanto hanno lasciato scritto dei LIguri Apuani nomi celebri come Catone e Tito Livio, si evince che li giudicavano uomini “inliterati mendacesque”(tradotto: senza cultura e bugiardi). Il più tenero fu il poeta Ausonio (li dichiarò “duri atque agrestes”). Mi piace tradurre duri con “caparbi” e agrestes, come capaci di trarre frutti dai terreni impervi in cui raccoglievano. 

Dopo questa lunga premessa, torno ai testaroli al pesto. Che senza dubbio hanno una loro palatabilità che ha attraversato i secoli. Ma sono fermamente convinta che c’è qualcosa di misterioso anche nel taglio del testarolo a losanghe. Le radici di questo gesto stanno senza ombra di dubbio nelle primordiali culture di devozione alla dea madre. Nella cucina del Mediterraneo la forma a losanga è molto diffusa. Non sarà un caso.    


Note:

Da I Presidi Slow Food :  Questa specialità della Lunigiana – ora protetta da un Presidio Slow Food intitolato al testarolo artigianale pontremolese – prende il nome dal testo, una teglia in materiale refrattario, formata dal contenitore (sottano) e da un coperchio (soprano), che va messa a riscaldare sulla brace.
La preparazione del testarolo – avverte la signora Antonietta Bertocchi della trattoria Da Bussè – è tanto semplice quanto complessa è la sua cottura, che esige la disponibilità non solo del testo, ma di un locale idoneo dove riscaldare questa particolare teglia a diretto contatto con la brace. Ancora oggi i veri testaroli lunigianesi sono opera di contadini-artigiani che li cuociono nel gradile (grà in dialetto) annesso alle case di campagna, dove si accende il fuoco sul pavimento e il calore prodotto serve per essiccare le castagne o, usando il testo, per cuocere vari cibi, dal pane (carsenta) alle carni, alle verdure, ai piatti a base di farina di castagne (pattona)... Difficilmente vi riuscirà di riprodurre queste condizioni in altri ambienti: comunque potreste provarci e poi confrontare i risultati con i testaroli originari, programmando una bella gita nella Lunigiana”.



Testaroli al sugo di funghi








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Insalatina Tiepida di Calamari Novelli, Gamberi Rosa e Arance

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INSALATINA TIEPIDA DI CALAMARI NOVELLI, 
GAMBERI ROSA E ARANCE

Senza Glutine
Per quattro persone
Ingredienti:
200 gr di calamari novelli puliti e scottati
200 gr di gamberi rosa scottati e puliti (conservatene 12 intatti)
1 mazzetto di rucola di campo
100 gr di spinaci
2 carote
Il cuore di un sedano
2 arance Pernambucco o Tarocco 
Olio extravergine di oliva
Pepe bianco a piacere
Sale q.b.


Utensili di preparazione e presentazione
Un tagliere
Un coltello
Una frusta piccola o una forchetta
Terrine e piatti fondi per le verdure e il pesce
Lo spremiagrumi
Una tazza
4 piatti piani
Procedimento per la preparazione
Lavare e asciugare gli spinaci, scegliere le foglie più tenere eliminando il gambetto. 
Lavare e asciugare la rucola e tagliarla a striscioline (chiffonade). 
Pelare e tagliare a strisce sottili le carote. 
Pelare a vivo un’arancia (eliminando buccia e parte bianca) e tagliarla a pezzetti. 
Spremere l’altra arancia e conservare il succo. 
Lavare e tagliare e cubetti (dadolata) il cuore del sedano. 
Disporre in ogni piatto le verdure e l’arancia, i calamari novelli, 
poi i gamberetti puliti, infine 3 gamberetti intatti al centro. 
Condire con una emulsione ottenuta sbattendo il succo d’arancia e l’olio evo in parti uguali 
con un po’ di sale e una macinata di pepe bianco.




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Bugie di Carnevale

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BÖXÏE
Per quattro/sei persone
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
500 g di farina tipo"0"
3 uova intere
La scorza grattugiata di un limone non trattato
50 g di burro a temperatura ambiente
100 gr di zucchero
Olio extravergine di oliva o di semi d’arachidi
Vino bianco secco
Una spolverata di zucchero a velo


Utensili di preparazione e presentazione
Una terrina
Il matterello
La macchina per la pasta
La rotella dentata
Pellicola per alimenti
Carta assorbente da cucina
Una padella dai bordi alti per friggere (tipo Wok)
Un piatto da dolci


Procedimento per la preparazione
Impastare tutti gli ingredienti insieme, fino ad ottenere un impasto morbido e omogeneo; 
farlo riposare per circa 30 minuti, avvolto nella pellicola; 
stenderlo in strisce dello spessore di ½  cm circa 
(questa operazione vi può risultare più semplice, con l'aiuto di una macchina per la pasta)
 e con la rotella dentata ritagliare tanti rombi; friggere in olio evo o di semi d'arachidi a 160°C.
 Mettere le bugie in posizione verticale su carta assorbente da cucina,
 per far colare l’olio in eccesso, attendere qualche minuto. 
Disporre su un piatto da dolci e cospargere di zucchero a velo.









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Identità Golose 2014 a Milano

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L'Uovo di seppia di Pino Cuttaia, piatto simbolo della decima edizione di Identità Milano - foto Instagram
DECIMA EDIZIONE di IDENTITÀ' GOLOSE

Ormai ci siamo! Questo week end non posso assolutamente mancare a Identità Milano 2014
(dal 9 all’11 febbraio al MiCo – Milano Congressi di via Gattamelata e organizzata come le precedenti edizioni da MAGENTAbureau), il Congresso che accoglie i più grandi professionisti della cucina e della pasticceria italiana e mondiale: nelle 9 precedenti edizioni, si sono alternati sul palco oltre 300 cuochi, pizzaioli e pasticcieri provenienti da più di 20 Paesi. Si festeggerà la decima edizione con il tema “Una golosa intelligenza” (perché mai come in un periodo di profonda crisi economica, serve essere intelligenti). Il Programma, come sempre, è ricchissimo e interessante. Io sarò lì il primo giorno, soprattutto nello spazio Identità Naturali dove ci saranno dei focus sul mondo vegetariano e vegano, sulla pizza e la pasticceria all'insegna della naturalità. Ospiti illustri: Simone Salvini, Renato Bosco, Daniela Cicioni, Lello Ravagnan, Loretta Fanella, Alessandro Negrini e Fabio Pisani (da Giovani Stelle a Migliori Chef 2014), Angelo Biscotti e Silvio Spinelli.Paolo Marchi, curatore e ideatore di Identità Golose, in una intervista consiglia di non perdere l’intervento di Jeremy Bearman (chef stellato di Manhattan) e Kristy del Coro (chef, dottoressa e nutrizionista: fantastico!) del Rouge Tomate di New York, “perché si pongono il problema di considerare la salute a tavola senza dogmatismi, riuscendo a salvaguardare la verità dei sapori”.

Merano WineFestival 2013

Da sabato 8 a lunedì 10 febbraio 2014, ci sarà anche la terza edizione dell’evento dedicato ai grandi protagonisti del vino e della cucina d’autore: il Milano FOOD&WINE Festivalcon ben 100 vignaioli, selezionati da Helmuth Köcher, Presidente e Fondatore del Merano WineFestival. Per tre giorni, a pranzo e a cena, oltre a degustare ottimi vini, si potranno acquistare e gustare al ristorante del Festival i “Grandi piatti della cucina italiana” preparati da 24 tra cuochi, pasticceri e pizzaioli, invitati da Paolo Marchi per l’occasione.
Da segnalare:
- Lo spazio espositivo Acqua Panna-S.Pellegrino all'interno di Identità Golose creata per far conoscere e valorizzare il talento dei più giovani e interessanti chef italiani. 
Domenica 9 febbraio: Mauricio Zillo | Rebelot | Milano - Anguilla affumicata di Cabras con barbabietola e bergamotto 
Lunedì 10 febbraio: Christian e Manuel Costardi | Da Christian e Manuel | Vercelli - Il panino come una volta 
Martedì 11 febbraio: Sara Preceruti | Locanda del Notaio | Pellio Intevi premiata da Acqua Panna e S. Pellegrino come miglior donna chef tra le giovani stelle della Guida ai Ristoranti d’Autore di Identità Golose - Bignè ripieno di tartare di salmone affumicato e pinoli tostati, zabaione di grana e polvere di ribes.
- In occasione di Identità Golose 2014, 55 ristoranti milanesi proporranno un menu speciale, dedicato al decimo Congresso che si svolge in Via Gattamelata. Qui l’elenco e gli indirizzi dei Ristoranti “FuoriCongresso”

Potrete seguire l’evento live con l’hashtag #IGmi14 sugli account Twitter - Instagram – Facebook.



SGABEI, Skabei, Skabelli

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Sgabei al finocchietto selvatico

SGABEI. Skabei. Skabelli. 
Ma da dove viene questo nome?
 di Gabriella Molli

C’è un’Italia della pasta lievitata fritta. C’è una cultura genovese dei cuculli fatti con la farina di ceci, c’è una cultura spezzina degli sgabei fatti con la farina di grano. In tutto l’areale della Val di Magra si friggono ancora oggi losanghe di pasta da pane resa sottile con il matterello e il risultato è quello di tanti sgonfionetti leggeri a cui un cenno di sale dà un sapore incantevole.
Sgabei, skabei. Quanti si sono scervellati per sapere da dove viene questo nome, che di fatto fa pensare a uno sgabello. O come dice Salvatore Marchese a un supporto per appoggiare qualcosa. L’enogastrono e scrittore pensa che il nome derivi probabilmente dal termine tardo-latino skabellum. E che grazia per la nostra gola hanno gli sgabei, se su quella striscia lievitata come una pancia di donna incinta, si appoggia lardo di Colonnata a fettine, o prosciutta di Castelnuovo Magra, oppure la salsiccia di Adò. Tanto per elencare tre eccellenze fra Liguria e Toscana, che eccitano fantasie della gola. Mangiare sgabei è quasi un rito. Più ne mangi e più ne mangeresti. Recentemente ospite nella casa del mio amico Lucio (vicino al Calcandola, alla periferia di Sarzana) ho avuto il piacere di gustare quelli al finocchietto selvatico. Una delizia incredibile. Lucio non ha fatto altro che ripercorrere un rito rurale antico, quando, aggiungendo gli aromi, le donne imploravano per ottenere grazie di felicità (la salvia, il rosmarino, la maggiorana sono state definite appunto piante della felicità). Cotti in immersione nell’olio d’oliva extravergine, gli sgabei costituiscono un piatto d’ingresso (o di seconda portata) di grande appeal. E cercando tracce del loro percorso storico attraverso i secoli, li troviamo con vari nomi: gnocco fritto modenese, crescentine bolognesi e, passatemelo, in provincia di Cuneo “bagasce” (lo dice Alessandro Molinari Pradelli nel libro “La cucina ligure” (Newton&Compton, 1196). 

La forma a losanga si rifà ad antiche forme geometriche che avevano funzioni sacrali. Doppio triangolo equilatero (simbolo di perfezione, nella religione cristiana rappresenta la Trinità) la losanga è stata presente in tante culture. Guardato nella sua composizione lo sgabeo è rispondente alle usanze gastronomiche del Mediterraneo. Chi è stato in Tunisia si è visto servire come pane appunto uno sgabeo fritto in olio di semi. Le donne arabe sono maghe nel friggere strati leggeri di pasta lievitata. E anche in questa usanza c’è molto di devozionale: lievito vuol dire alzarsi, crescita. Come nel grembo della donna incinta. Perché non sono da trascurare questi riferimenti a una cucina che serviva anche per chiedere doni? In primis la fecondità? Perché raccontano la storia dell’uomo ai primordi. In tempi in cui si susseguivano fenomeni di paure, fame, atrocità, il grano e la farina erano il simbolo della vita, dell’abbondanza. E farina con acqua è stata probabilmente una delle scoperte più geniali della donna raccoglitrice. Pensate alle feste religiose ancora oggi in atto, che si collegano al significato del grano che germoglia...la pastiera napoletana ne è un documento inoppugnabile. Nel caso degli sgabei c’è la tecnica raffinata dell’immersione nell’olio caldo. Alcuni storiografi fanno risalire questo geniale accorgimento di cottura ai greci. Che certamente erano avvantaggiati dalla presenza dell’olivo e dei suoi frutti. Ma le donne del deserto prima ancora avevano inventato tecniche per raccogliere olio dai semi battuti con una pietra. Prova su prova, esperienza su esperienza, la frittura per immersione è nata così in un ambito di piccoli processi di cucina nella fascia medio-orientale. E, si sa, la cucina e la tecnica camminano con la storia degli uomini. 




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Identità Milano e la Golosa Naturalezza

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Simone Salvini: Cialde croccanti con farina di lenticchie bianche,
“caprino” di mandorle e anacardi, spuma di latte di mandorla

La Golosa Naturalezza

Bellissima atmosfera aIdentità Golose (decimo anno, tema: una Golosa Intelligenza) un’esperienza elettrizzante che mi ha fatto ancor più amare il mondo del Food. Chef di altissimo livello che si confrontano, sperimentano, dimostrano tutta la loro esperienza e creatività ad un pubblico attento e curioso. Non ci si può improvvisare in questo settore, ormai le tecniche e gli strumenti sono arrivati a livelli altissimi e la tradizione dev'essere supportata dall'innovazione che ora più che mai suggerisce di unire la golosità alla salute. Questo il messaggio che hanno trasmesso al pubblico in Sala Blu (Identità Naturali), gli chef che si sono alternati il 9 febbraio. Piatti all'apparenza complessi, ma delicatamente semplici per il nostro organismo, ricette che seducono e nutrono senza appesantire.

Simone Salvini a Identità Naturali [Identità Golose 2014]

Ho constatato spesso, che le preparazioni rispecchiano la personalità dei loro creatori, in questo caso Simone Salvini(Ops! Roma e Organic Academy) “Il bello, il buono e il sano”, ha realizzato "Cialde croccanti con farina di lenticchie bianche, “caprino” di mandorle e anacardi, spuma di latte di mandorla", piatto emozionante, delicato e sorridente come lui: sempre estremamente cortese con il pubblico, confessa di doversi ancora abituare alla romanità della capitale, nomina spesso e ringrazia il suo grande maestro Pietro Leemann (Joia Milano), consiglia di non salare mai i legumi o dolcificare i cereali, durante la cottura se non poco prima della fine, perché così diventano più digeribili; mostra il procedimento, utilizzando i fermenti lattici, per produrre il “formaggio” di mandorle e ci invita ad usare spesso le farine di legumi per preparare cialde, pani, crackers ricchi di proteine vegetali. Con lui sul palco l’amico e avvocato penalista Gigi, che lo affianca nelle preparazioni.  

Loretta Fanella a Identità Naturali [Identità Golose 2014]

Loretta Fanella (consulente, prima Enoteca Pinchiorri, El Bulli, Carlo Cracco), “Oltre la pasticceria” è una geniale pasticcera e la giovane mamma di Giulio; dedica al suo bimbo una delle sue creazioni, l’alveare dell’ape Maia. Pacata e abilissima, ci stupisce con gli ortaggi usati insolitamente dolci: le rose di barbabietola sciroppate, i petali di gelatina di piselli, le meringhe, vanno a comporre un tralcio goloso e romantico.

Daniela Cicioni a Identità Naturali [Identità Golose 2014]

Daniela Cicioni, chef freelance, consulente dal 2007, fa corsi sulla cucina crudista e vegana ricca di colore e gusto. Con "L'essenza della cucina vegana" presenta tre ricette: i fermentini, ossia dei “formaggi” a base di semi di zucca ammollati (ma si possono usare tutti i semi oleosi), frullati con acqua e fermenti,  fatti stagionare e coperti di erbe e semi di vario tipo: timo, pepe, semi di ginepro, calendula… ; il seitan, ottenuto mescolando  il glutine con la farina di legumi per renderlo più leggero e frullato con cipolla cotta con marsala, per arricchirlo di sapore; il sweet orange cone a base di anacardi, olio di cocco estratto a freddo, noci. Fantastica la cialda a base di acqua e pinoli frullati e disidratati.
Daniela ci svela alcuni segreti: “Gli ingredienti calorici, mangiati crudi, sono più assimilabili, l’ammollo per i cereali è importantissimo per averli più digeribili, nei germogli i contenuti triplicano e fanno benissimo al nostro organismo. Limitate l’uso dei derivati animali, provate su di voi e scegliete il percorso più adatto per arrivare al benessere, sperimentando nuovi tipi di cotture, nuovi ingredienti, nuovi sapori”.

Daniela Cicioni e i suoi tre piatti, a Identità Golose 2014


Il mio prossimo acquisto (portato allo show cooking da quasi tutti gli chef): il disidratatore di alimenti ;)








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Focaccia dolce di Mele con Olio extravergine di Oliva e Prescinseua

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FOCACCIA DOLCE DI MELE
CON OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA 
E PRESCINSEUA
Per sei/otto persone
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
4 grosse mele (800 gr)
120 gr di farina
120 gr di zucchero di canna + 1 cucchiaio
100 gr di Prescinseua (quagliata genovese)
 oppure ricotta cremosa
80 gr di olio extravergine di oliva
2 uova freschissime
2 cucchiai di pinoli
100 gr di uvetta
Un limone non trattato
1 bustina di lievito per dolci
1 pz di sale
Zucchero a velo


Utensili di preparazione e presentazione
Un coltello
Due terrine
Un cucchiaio di legno
Una frusta
Una teglia antiaderente rettangolare
Carta forno


Procedimento per la preparazione
Pulire ed affettare finemente le mele, metterle nella terrina, 
mescolarle con l’uvetta (precedentemente ammorbidita con acqua tiepida), 
20 gr di zucchero, la scorza grattugiata del limone e un cucchiaio di pinoli.
Con la frusta sbattere bene le uova con lo zucchero rimasto, unire la Prescinseua, 
la farina, il lievito, il pizzico di sale, l’olio evo e amalgamare bene poi con un cucchiaio.
Versare il composto sulle mele e mescolare bene. 
Foderare la tortiera con la carta forno; versare e livellare l’impasto, 
distribuendo l’ultimo cucchiaio di pinoli e lo zucchero di canna.
Infornare a 170° per 50 min. circa. 
Far raffreddare almeno tre ore prima di servire.
Tagliare la focaccia dolce a a quadrotti. e spolverare di zucchero a velo.







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Frittelle di farina di castagne, la ricetta di Eva

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FRITTELLE DI FARINA DI CASTAGNE
CON SALSICCIA E RICOTTA
Per quattro/sei persone
Ricetta di Eva Bramante del Rifugio Quarzina di Ormea
(Rifugio escursionistico nelle Alpi Liguri)
Senza glutine
Ingredienti:
400 gr di farina di castagne
½ litro circa di acqua
4 salsicce o quattro pezzi di luganega
350 gr di ricotta freschissima
1 pizzico di sale
Rosmarino e/o qualche foglia di alloro
Olio extravergine di oliva o di arachidi,
q.b. per friggere
Carta assorbente o carta paglia
Utensili di preparazione e presentazione
Una terrina capiente
Una frusta
Un cucchiaio di legno
Un mestolo piccolo o un cucchiaio
Una padella per friggere
Una padella antiaderente con il coperchio


Procedimento per la preparazione
Versare la farina di castagne nella terrina, unire un pizzico di sale e l’acqua
 per ottenere una pastella morbida. 
Fare attenzione a non formare dei grumi: aiutarsi inizialmente con la frusta,
 poi con il cucchiaio di legno. Mescolare bene e lasciar riposare mezzora. 
Scaldare l’olio nella padella, con l’aiuto del mestolo o di un cucchiaio
 versare un po’ di pastella nell'olio bollente 
(non più di 3 o 4 per volta, altrimenti la temperatura si abbassa e le frittelle assorbono olio). 
Girare diverse volte in modo che la cottura sia uniforme; 
quando avranno assunto un bel colore dorato, 
metterle su un piatto con carta assorbente a sgocciolare l’olio in eccesso. 
Cuocere le salsicce (o la luganega), profumandole con abbondante rosmarino e/o alloro
 (al Rifugio Quarzina, Eva le priva del budello e le sbriciola,
 in modo che gli aromi possano amalgamarsi meglio con la carne). 
Disporre sul piatto di ogni commensale tre frittelle di castagne, 
stendere un po’ di ricotta fresca e terminare con la salsiccia caldissima.


Note:
Tutto è nato da qualche scambio tweet l’anno scorso, a Carnevale,
 per le frittelle di castagne dolci > Frittelle di castagne 



Eva mi ha poi raccontato: “Per le frittelle in realtà mi sono ispirata 
ad una tradizione delle tue parti, le Pattone della Lunigiana... 
la ricotta di accompagnamento pare sia un classico, 
la salsiccia mi pareva ci stesse bene”










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Frittelle di Rossetti

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FRITTELLE DI ROSSETTI
Per quattro persone
Ingredienti:
400 gr. di rossetti freschissimi
(novellame di triglia)
100 gr. circa di farina 0
2 uova
150 gr di acqua gasata
½ spicchio d'aglio
Qualche foglia di prezzemolo
Abbondante olio extravergine di oliva per friggere;
Sale q. b.  
Una spolverata di pepe bianco


Utensili di preparazione e presentazione
Due terrine
Un colapasta
La frusta
Un coltello
Un cucchiaio
Una padella per friggere
Carta assorbente
Un piatto da portata


Procedimento per la preparazione
Lavare le foglie di prezzemolo e tritarle finemente insieme con lo spicchio d'aglio
 (se non lo gradite, si può mettere in infusione intero nella pastella 
per poi toglierlo prima di unire i rossetti).
In una terrina sbattere i tuorli d'uovo (mettete da parte gli albumi),
 aggiungere la farina, l'acqua gasata, un pizzico di sale, pepe e il trito di aglio e prezzemolo.
Lasciar riposare la pastella per un'ora, poi unire i rossetti dopo averli lavati e sgocciolati
 (in passato si lavavano con acqua di mare) e i due albumi montati a neve.
 Friggere nella padella, mettendo il composto a cucchiaiate nell'olio bollente; 
quando le frittelle saranno dorate e croccanti, 
sgocciolarle e passarle sopra un foglio di carta assorbente. 
Servirle subito calde, ma sono buonissime anche fredde ;)


 Note:
I bianchetti sono gli avannotti (il novellame) delle acciughe e delle sardine, 
una volta si pescavano tra gennaio e febbraio, ma adesso sono vietati.
 I rossetti sono gli avannotti delle triglie e dei ghiozzi;
si cucinano sbollentati e conditi con olio, sale, pepe e qualche goccia di limone,
 o in frittelle, o in frittate, o saltati con gli spaghetti 
o crudi, conditi con olio e limone.






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Riflessioni su farina di castagne e dintorni

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Riflessioni su farina di castagne e dintorni
 di Gabriella Molli
Eva e Daniela accostano la ricotta alle frittelle di farina di castagne. Ottimo accostamento, ma ricordo di aver assaggiato una combinazione con miele di castagno durante una escursione in Val di Vara negli anni Settanta, che mi ha tanto sorpresa per uguale leggerezza e armonia. Ero in un castagneto di amici. Le frittelline sono nate sotto i miei occhi con quel rituale misto di profumi fra il sapido e il dolce che sfiora le narici durante la manipolazione della farina di castagne. Come se un po’ di tannino si diffondesse nell’aria. In una capannuccia di sasso e legno in cui i miei amici avevano foggiato una specie di focolare, appendendo le attrezzature per cucinare ai chiodi fra sasso e sasso, lo sfrigolare dell’olio di oliva al contatto della pastella liquida era incantevole. Mi servirono il miele di castagno dentro una ciotolina marrone: così, piegando la frittellina, riuscivo a catturarne un po’. Una autentica indimenticabile delizia. Ripetuta in altra esperienza, questa volta in una piccola osteria che oggi non c’è più. Al termine di una merenda con i salumi della Val di Vara l’anziana proprietaria portò dei “bomboloncini” di farina di castagne ricoperti di miele di castagno. Che esperienza incredibile delle mie papille. Ricordo che erano rimaste fettine di lardo appena venato di carne rosata. Istintivamente avvolsi un bomboloncino poco più grande di una ciliegia con una fettina. Fu così che appresi accostamenti nuovi della farina di castagne con il miele di castagno. Derivazione di un prodotto del bosco, come accade nell’accostamento appena appena grasso con la ricotta, questa farina si esalta anche di una felice comunione con i salumi, mediata appunto dal miele di castagno. Altra fetta di sensorialità particolarmente apprezzata dalle mie papille, è stata suggerita dall’accostamento di una crèpe fatta sempre con farina di castagne che avvolgeva un cucchiaio di ricotta condita con miele di castagno. Era un fine cena e leggendolo in menu, ho pensato a un eccesso di zuccheri. Mi sono invece stupita ancora una volta della felice simbiosi dei tre elementi.
                      
 Farina di castagne della mia infanzia
Sono stata una bambina allevata con la polentina serale di farina dolce, servita nel piatto fondo, con una cucchiaiata di olio. Nessuna monotonia nella mia vita di bambina per la ripetitività di quel rito serale che condividevo con due nonni materni. Ancora oggi mi concedo una nostalgica rievocazione, appena posso.

 Storia e modelli culturali
Le castagne hanno regalato tanto alle popolazioni di origine ligure-apuana. I boschi erano tenuti come salotti. Venivano fatti regolari innesti per tenere alta la produzione. E le tipologie dei castagni erano parecchie. L’iter di essiccazione dei frutti era lungo e programmato dentro gli appositi gradili. La farina serviva anche come taglio della farina bianca di grano, che costava molto. Tutta una civiltà del castagno ha contraddistinto l’arco grande della Lunigiana storica, dove sono nate elaborazioni povere, oggi trasformate in eccellenze. Vedi il pane martino, che sono in pochi a fare. E’ pur vero che esisteva un ciclo stagionale della farina di castagne: andava infatti consumata in un arco preciso di tempo. E se pattone, castagnacci e frittelle ancora qualche volta si mangiano, poco compaiono le tagliatelle o le trofiette bastarde (l’aggettivo è un affettuoso modo per denunciare la commistione fra le due farine) la cui morte sono i sughi di porro e salsicce. Anche qui con qualche tentativo di insaporire con un cenno di miele di castagno.

Il castagno
Sul castagno che dà tutto di sé, si può dire anche che offre la possibilità alle api di fornirci un miele dalle tante virtù. Prima di tutto quella calmante. In Val di Vara le donne lo mettevano su una pezzuola pulita per fare un “succhiotto” lenitivo al momento della crescita dei dentini da latte dei loro bambini, quando le gengive si gonfiavano. Ha accompagnato generazioni di bambini sulle fette di pane per la merenda delle quattro. E generazioni di anziani che bevevano acqua calda al primo mattino per l’equilibrio fisiologico. Miele di castagno per il mal di gola. Miele di castagno per ridare energia dopo il parto. Insomma il miele di castagno era in Val di Vara assai diffuso. E sembra esserlo ancora.

Genealogia dei sapori
Chi è stato in Val di Vara e non ha mangiato i cacin con ricotta condita con miele di castagno, si è perso qualcosa. E che dire delle fettine di pane martino, gustate con formaggetta fresca e accompagnate dallo stesso miele. Un po’ amarognolo, ma di quella puntina che fa godere le papille, questo miele pare accompagnasse anche i ravioli magri fritti o cotti sulla stufa a legna. Pensiamo alla intelligente commistione di dolce-salato. Alle armonie dei gusti che si contrastano e si sposano nello stesso tempo. La produzione c’è ancora, ma i castagni non sono più curati come accadeva fino a cinquant’anni fa. E l’insetto-killer arrivato da fuori li sta mettendo a dura prova.

Tradizioni
Si racconta che in Val di Vara il miele di castagno accompagnasse la cacciagione. L’abbinamento può avere una sua ragion d’essere perché spesso un arrosto di miti uccellini tratti in inganno dal grano nascosto sotto una pietra piatta sospesa da un bastoncino, aveva quell’amarognolo caratteristico che li faceva amare. E il miele di castagno ha anch’esso un suo gradevole amarognolo. Ma si racconta anche di gnocchi dolci fritti, cosparsi di miele di castagno e qui viene fatto di pensare a collegamenti con i famosi riti devozionali alla madre terra. Le donne erano l’anello di una mediazione: invocavano fertilità, figli, benessere e ricchezza offrendo ciò che sapevano fare meglio, il cibo. Cibo che preparavano seguendo precisi schemi simbolici con forme segnatamente di carattere religioso come le losanghe. O le paste ripiene tonde come il grembo materno. Ma soprattutto per domandare grazie offrivano ciò che era più gradito alle loro papille: il dolce. Qui entra in campo il miele di castagno con cui cospargevano forme tonde di acqua-farina di castagne mista a farina bianca-sale cotte sui testi. Pinoli e uvetta (anch’essi usati per riti propiziatori di fecondità) non sono forse rimasti nel castagnaccio? 








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Torta di Carciofi

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TORTA DI CARCIOFI
Per quattro/sei persone
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
5 carciofi puliti
3 uova freschissime
50 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
150 gr di Prescinseua o ricotta
1 spicchio di aglio pulito
Olio extravergine di oliva
Qualche rametto di maggiorana
Sale q.b.
Ingredienti per la sfoglia
150 gr di farina bianca 0
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
1 bicchiere e ½ circa di acqua tiepida
1 pizzico di sale
Utensili di preparazione e presentazione
Un coltello
Un tagliere
Una terrina grande
La mezzaluna
Il matterello
La spianatoia
Una teglia antiaderente
 (di circa 25 cm di diametro)


Procedimento per la preparazione
Disporre la farina a fontana, unire lentamente acqua, olio e il pizzico di sale, 
impastare bene finché non risulti un composto liscio e compatto ma morbido;
 lasciar riposare coperto. Tagliare a spicchi sottili i carciofi.
 Far scaldare l’aglio con l’olio evo nel tegame, unire i carciofi, 
salare e far cuocere dolcemente finché con saranno morbidi
 (eventualmente aggiungere un po’ d’acqua). Eliminare l’aglio. 
Sbattere nella terrina le uova, unire il Parmigiano, la Prescinseua (o la ricotta), 
i carciofi ormai tiepidi e le foglioline di maggiorana.
 Ungere la teglia ed accendere il forno a 200°. 
Dividere la pasta e con il matterello fare due sfoglie sottili, 
con una ricoprire il fondo della teglia in modo che ne esca un po’, 
sopra stendere uniformemente il ripieno con i carciofi, poi ricoprire con l’altra sfoglia;
 tagliare la pasta in eccesso e sigillare i bordi. 
Infornare per 35/40 min. Servire tiepida 






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I Gattafin di Levanto

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I GATTAFIN
Per quattro/sei persone
Ricetta della Tradizione, originaria di: Levanto (SP)
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
Per la sfoglia:
250 gr di farina tipo 0
1 bicchiere di vino bianco oppure un uovo fresco
Acqua tiepida
Sale q.b.
Per il ripieno:
1 kg di Bietole erbette o erbette miste di campo
Cipollotto o cipolla dolce
Maggiorana fresca (erba persa)
2 uova
100 gr di Parmigiano grattugiato
Facoltativa ricotta fresca
Olio extravergine d’oliva
Sale marino
Pepe e/o noce moscata
Sale q.b.


Utensili di preparazione e presentazione
La spianatoia
Pellicola trasparente
Un coltello
Un cucchiaio
La rotella tagliapasta
Il matterello
Una padella antiaderente
Una padella per friggere
La schiumarola
Carta assorbente da cucina
Procedimento per la preparazione
Impastare sulla spianatoia gli ingredienti per preparare la sfoglia
 (farina a fontana, l’uovo o vino bianco, olio e una presina di sale e acqua). 
Ricavarne un impasto morbido ed elastico; 
infarinare e porre il panetto in frigorifero, avvolto da, per almeno 30 minuti. 
Pulire le biete erbette e cuocerle per un paio di minuti nell’acqua bollente, lievemente salata.
 Scolare, raffreddare e strizzare; tagliare le erbe più o meno finemente, secondo i gusti. 
In una padella imbiondire dolcemente il cipollotto tritato nel tegame con l’olio evo. 
Aggiungere le erbette, mescolare bene e lasciar insaporire a fuoco dolce. 
Unire il Parmigiano, la persa lavata, sfogliata e tritata finemente, 
le 2 uova battute, il pepe e/o la noce moscata 
(quando in primavera si privilegiano le erbette selvatiche, 
un po' amare, si può addolcire il composto, 
aggiungendo pochi cucchiai di ricotta freschissima). 
Mescolare bene e aggiustare di sale, il risultato dovrà essere un composto abbastanza sodo.
 Tirare la pasta con il matterello, sulla spianatoia e porvi, distanziati, 
dei cucchiai di farcitura, ad una distanza di circa 5 cm l’uno dall'altro
ripiegare la pasta sul ripieno, comprimere con il palmo e chiudere lungo i bordi. 
Con la rotella dentata tagliare i Gattafina forma di quadrato, 
ricavando ravioli di circa 8 cm di lato. 
Friggere in abbondante olio extravergine di oliva bollente, 
pochi alla volta, sino a dorarli bene e servire subito.


 Note:
I Gattafin, solitamente serviti come antipasto, sono un piatto storico
 del territorio levantese, la preparazione è ancora oggi soltanto locale e per tutelarla
 l'associazione Sapori di Levanto, ha voluto registrare la denominazione, 
depositando il marchio Gattafin.
Ci sono due teorie sull'etimologia del nome di questo piatto:
- dalla raccolta di erbette selvatiche da parte dei picchettini della vecchia cava di pietra
 in località la Gatta, nelle vicinanze di Levanto e utilizzate dalle loro mogli
per preparare il ripieno di questi ravioloni fritti in olio extravergine d’oliva.
 Da qui il nome di “Finezze della Gatta” ovvero Gattafin
- dal legame con la parola trecentesca “gattafure”, che allude soprattutto a torte con ripieno.
Nel Rinascimento, le torte di verdure liguri, hanno dato origine anche ai ravioli, 
che allora si consumavano fritti.

  







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Mangiando una fetta di buccellato

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Mangiando una fetta di buccellato
di Gabriella Molli
Se dico buccellato mi viene in mente un dolce con il buco. Una nuvola di farina-uova-zucchero-lievito con profumo di anice presente sulla tavola la domenica di Pasqua. Questo il ricordo del buccellato della mia prima infanzia vissuta ad Aulla. Confezionato con le uova che le galline avevano fatto nella Settimana Santa, conservate religiosamente in un cestino dai nastrini rossi. La nonna preparava l’impasto e disponeva una tazza al centro della teglia, per formare il buco. Un dolce rito pasquale che ho ritrovato da grande in uso anche a Sarzana, a Lucca (arricchito di piccoli semi di finocchio), e che sembra seguire un preciso percorso legato alla via Francigena.  Ma non solo.
Diffuso nella prima parte della Toscana e della Liguria spezzina, assume qualche variante per la presenza di cedro candito, noci, uvetta, scorza di limone grattugiata. Ma è sempre tipicamente un dolce con il buco.
La forma e la valenza simbolica
Indubbio il significato del buco, è chiaro riferimento al simbolo femminile. Esistono molti dolci di forma affine nel nostro territorio (Brugnato ne è un esempio con il suo canestrello, di cui anche Mario Solati ha tessuto le lodi) e, a mio avviso tutti attengono a situazioni devozionali.
Trascrivo dal Dizionario  dei simboli, dei miti e delle credenze (Giunti, 2006):
Buco, derivato di “buca”, dal latino tardo “bucam”, variante di buccam, “bocca”.
Simbolo di una vacuità che può essere riempita, il buco non fa pensare al vuoto sterile, ma la contrario evoca il ricettacolo del seme. Destinato a ricevere il seme della vita, il buco è il luogo della creazione. Più in generale è la concreta rappresentazione
delle potenzialità, delle risorse, delle ricchezze nascoste che attendono di essere svelate.
Dai miei viaggi
Dove ho ritrovato il buccellato?
- In un viaggio in Calabria, a Serra San Bruno. Inconfondibile la forma della ciambella. Fatto con uno sfarinato di grano tenero e lievito naturale, ben gonfio. Soffice, mi ha ricordato la mia infanzia.
- In un viaggio a Palermo poco prima del Natale. Sempre a forma di ciambella, solo che era ripieno di fichi secchi a minuscoli frammenti, ricco di mandorle, pinoli, uvetta, scorzette candite, pezzettini di cioccolato. E quel buon profumo di Marsala, che non dimenticherò mai. Sopra lucido di tuorlo d’uovo e tanti pistacchi tagliati a metà.
- In un viaggio in Provenza a Maillane, a gennaio per la Befana. Quando mi sono trovata davanti il “gateau des rois” fatto a ciambella (sembrava un grossa brioche con il buco) ho detto subito: è un buccellato. Quella che loro definiscono “couronne cylindrique” è la nostra ciambella. Dentro c’erano tanti canditi a filetti, in particolare ciliegine e meloni, scorzette d’arancio. Una delizia accentuata dal profumo di acqua di fiori d’arancio. E sopra granella di zucchero.
Le mie riflessioni
Questo ripetersi di un rito dolciario della stessa forma conferma le funzioni propiziatorie dei dolci (e dei pani) riservati alla madre terra. Invocazioni di fecondità, di augurio, di propiziazione, che hanno attraversato secoli di vita. Pensiamoci, mangiando una fetta di buccellato.    


     

Il Buccellato della Nonna

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IL BUCCELLATO DELLA NONNA
Per sei/otto persone
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
200 gr di farina bianca
50 gr di fecola di patate
150 gr di zucchero
100 gr di burro + un pezzetto per lo stampo
3 uova intere
70 gr di pinoli
1 bustina di lievito vanigliato
1 cucchiaio di liquore all’anice, tipo sambuca
100 gr di latte
1 cucchiaino di semi di anice
1 pizzico di sale
Due cucchiai di granella di zucchero
Zucchero al velo


Utensili di preparazione e presentazione
Una frusta
Una terrina capiente
Un cucchiaio di legno
Uno stampo per ciambelle
Un piatto da dolci rotondo
Procedimento per la preparazione
Scaldare il forno a 180°. Sbattere con la frusta, nella terrina, le uova e lo zucchero;
 unire la farina setacciata con il lievito, i semini di anice, 
la fecola ed il burro precedentemente fuso e raffreddato, il latte, il liquore, il sale
 e lavorare bene con il cucchiaio di legno, 
fino a ricavarne un composto ben amalgamato e omogeneo. 
Aggiungere i pinoli, e lavorare ancora un po’ il tutto.
Imburrare ed infarinare leggermente lo stampo, versarvi l’impasto,
 livellarlo e distribuire sulla superficie la granella di zucchero; 
infornare per 40 min. circa (per essere certi della cottura del buccellato,
 infilarvi dentro uno stuzzicadenti che deve rimanere asciutto).
Servire freddo su un piatto per dolci, spolverato di zucchero al velo. 
Ottimo a colazione o con il caffè ;) 








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Campionato Mondiale di Pesto Genovese al Mortaio 2014

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Campionato Mondiale di Pesto Genovese al Mortaio 2014
L’importante è… Pestare!
Sono emozionatissima: a Palazzo Ducale a Genova, sabato 29 marzo, alla quinta edizione del 
Campionato Mondiale di Pesto Genovese al Mortaio , ci sarò anche io!!! 
Mi sono iscritta velocissimamente, perché alla sfida di Chiavari,
alla Mostra del Tigullio in estate, non avevo vinto. 
 Con me ci saranno 99 concorrenti, 50% liguri, 25% resto d'Italia e 25% resto del mondo
e ci sfideremo nella preparazione del pesto seguendo la ricetta con i 
7 ingredienti previsti dal disciplinare del Consorzio del Pesto Genovese: 
il basilico genovese DOP della riviera ligure, i pinoli italiani, l'aglio di Vessalico (IM), 
il Parmigiano Reggiano DOP, il Fiore Sardo DOP, il sale marino delle saline di Trapani,
 l'olio extravergine di oliva DOP Riviera Ligure.

Gara di Pesto al Mortaio a Chiavari

L’evento è organizzato e promosso dal 2007, ogni due anni, 
dall'Associazione Culturale e Gastronomica Palatifini 
" il Campionato è una vetrina di abilità internazionali e di eccellenze di Liguria,
 che racconta ed esalta le qualità di un territorio antico.
 Un evento che è già tradizione, con un’energia mediatica ed emotiva crescente 
e un coinvolgimento sempre più internazionale.
Il Campionato è l’evento clou di una serie di iniziative 
per la promozione del nostro territorio
 e delle nostre eccellenze turistiche ed enogastronomiche". 
Il pesto è un incredibile strumento di promozione turistica per Genova e la Liguria
 dice Roberto Panizza, Presidente dell’Associazione; 
sarà lui ad aprire la gara con il tradizionale: 
pronti, al pesto, via!”. Da quel momento, ogni partecipante avrà 40 minuti
 per preparare la sua salsa migliore. Allo scadere del tempo previsto,
 i concorrenti suddivisi in 10 gruppi da 10, dovranno interrompere la preparazione 
ed essere giudicatidai 30 giudici presenti (3 per ogni gruppo), 
secondo parametri calcolati in base a una scheda di valutazione. 
Gli elementi da considerare sono cinque:
la manualità, l'aspetto, la finezza, la consistenza e l'equilibrio tra i sapori.

Preparazione del Pesto al Mortaio

I dieci finalisti, si sfideranno in una seconda gara nel pomeriggio, che stabilirà il 
Primo Campione del Mondo di Pesto Genovese al Mortaio 2014.
 Il vincitore riceverà ilpestello in legno di olivo 
con il manico rifasciato d’oro del valore di circa 2.000 euro.
Ogni singolo partecipante riceverà un attestato di partecipazione.
La manifestazione è aperta a tutti, a Genova, Palazzo Ducale in piazza Matteotti 9, 
nell'area riservata al pubblico della Sala del Maggior Consiglio, 
dove si svolge il Campionato Mondiale di Pesto
 e nella Sala del Minor Consiglio con il Campionato dei Bambini
 e la Mostra degli Antichi Mortai di Famiglia.
Questi gli appuntamenti della giornata:
·         Ore 8.30 arrivo 100 concorrenti, consegna del materiale, assegnazione del posto
·         Ore 9.00 arrivo dei bambini e dei giovani giudici per la gara dedicata ai più piccoli
·         Ore 9.30 arrivo giudici, consegna del materiale e delle schede di valutazione
·         Ore 10.30 arrivo delle autorità, del comitato d'onore e della stampa
·         Ore 10.45 premiazione del Campionato dei bambini
·         Ore 11.00 saluto delle autorità
·         Ore 11.15 comunicazione degli organizzatori
·         Ore 11.25 inno del Campionato Mondiale di Pesto al Mortaio
·         Ore 11.30 inizio gara
·         Ore 12.10 conclusione gara e riunione della giuria
·         Ore 13.00 buffet con focaccia e vino bianco
·         Ore 14.00 premiazione del concorrente che arriva da più lontano
·         Ore 14.15 indicazione dei 10 finalisti
·         Ore 14.30 gara dei 10 finalisti
·         Ore 15.10 conclusione della finale e riunione della giuria
·         Ore 15.30 Proclamazione del Campione 2014
·         Ore 16.00 Inno del Campionato Mondiale di Pesto




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Le Tomaxelle

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LE TOMAXELLE
Per quattro persone
Ricetta della Tradizione, originaria di: Genova
Ingredienti:
8 fettine di fesa di vitello
20 g di burro
Olio extravergine di oliva
Pepe
Salsa di pomodoro


Ingredienti per il ripieno:
100 g di magro di vitello tritato
100 gr. di punta di petto macinata
2 uova
20 g di funghi secchi
1/2 tazza di mollica di pane
1/2 bicchiere di vino bianco secco
40 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
1 spicchio d’aglio
1 rametto di maggiorana
3 cucchiai di pinoli
Latte
Sale q.b.
Pepe, una macinata


Utensili di preparazione e presentazione
Un tagliere
Una terrina
Un coltello
Un cucchiaio
Il batticarne
Un tegame antiaderente con coperchio
Stuzzicadenti o spago per alimenti
Procedimento per la preparazione
Fare ammorbidire i funghi in acqua tiepida, strizzarli e tritarli. 
Unire al trito la mollica di pane bagnata nel latte e strizzata, la carne di vitello 
(precedentemente rosolata in un po’ di burro), le foglioline di maggiorana e l’aglio tritati, 
il formaggio, le uova sbattute. Regolare di sale e pepare leggermente.
Battere bene le fettine di vitello e su ogni fettina mettere un po’ del ripieno preparato; 
formare degli involtini, arrotolarli e fermarli con uno stecchino o con lo spago.
In un tegame scaldare un filo d’olio evo e rosolare le tomaxelle, bagnarle col vino bianco. 
Aggiungere la salsa di pomodoro e cuocere a fuoco dolcissimo per 20 minuti circa, 
girandole ogni tanto. Servire tiepide.


Note:
Nonostante la sua prelibatezza, questo piatto non si trova facilmente nelle osterie 
o nei ristoranti della nostra Regione ed è classificato “di recupero”, 
infatti le massaie genovesi lo preparavano nei giorni dopo le feste, 
utilizzando gli avanzi dell’arrosto, tritandoli e unendoli agli altri ingredienti del ripieno 
che aveva alcune varianti a seconda delle località 
(come il tipo di carne utilizzata: alcuni aggiungevano altre parti come cervella e animelle). 
Nella versione più moderna sono stati inseriti i funghi e la ricetta si è sempre più affinata, 
facendo delle Tomaxelle uno dei piatti più appetitosi della Liguria. 
In alcuni casi vengono cotte direttamente nel sugo.
Il nome deriva dal tardo latino “tomaculum” (specie di salsicciotto), 
la cui forma si avvicina a quella di questi involtini storici.
 Antonino Ronco scrive nel 1800, che le truppe francesi che occupavano Genova 
vivevano asserragliate con gli abitanti della città. 
Li minacciavano, dal mare, gli inglesi e, via terra, gli austriaci.
 Un giorno riuscirono a far prigionieri alcuni ufficiali austriaci e a questi, 
per far vedere che avevano scorte di cibo tali da poter resistere all'assedio
offrirono le Tomaxelle o Tomaselle, che furono apprezzate moltissimo. 
Nell’estremo levante al confine con la Toscana,  preparano degli involtini simili 
chiamati Fasciatelle, da non confondere con quelle siciliane.










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Alfonsina Trucco, la regina del Pesto al Mortaio

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Pronti, al Pesto, via!!!
IlCampionato Mondiale di Pesto al Mortaio si è concluso a Genova da una settimana. 
Si sono sfidati in 100 all’ultimo colpo di pestello, per succedere al campione uscente, 
l’italo-tedesco Sergio Muto, quest’anno nelle vesti di giurato. 
I partecipanti italiani sono stati per la maggioranza liguri, ma c’erano anche 23 concorrenti
 provenienti da tutto il mondo tra i quali americani, libanesi, canadesi, francesi, spagnoli,
 inglesi, serbi, tedeschi, norvegesi, svizzeri e per la prima volta i rappresentanti di 
Finlandia, Svezia e Irlanda del Nord, vittoriosi nelle gare eliminatorie del loro paese. 
Il concorrente arrivato da più lontano è stato John Chiozza (con avi genovesi), 
da Richmond in California, quello più giovane è stato uno studente di 18 anni

Alfonsina Trucco premiata da Bruno Pizzul

 e la concorrente più anziana Alfonsina Trucco, diventata campionessa,
 dopo tre edizioni di dominio degli uomini. 
Dopo avere superato le qualificazioni del mattino, la signora Trucco 
ha sbaragliato di altri 9 finalisti e ha vinto il trofeo riservato al vincitore, il Pestello d’oro; 
ha partecipato al Campionato fin dalla prima edizione ed è arrivata per due volte in finale.


 Sul podio, dietro di lei si sono piazzati: Angelo Vanagolli e Candida Grosso
a seguire, Federico Bonzi, Bruno Canepa, Paolo Brovia, Luca Bernava, 
Mirco Chiavarini, Massimiliano Cresta e Fabrizio Migliorini.

L'antico mortaio della famiglia Trucco

L’avevo notata, la mattina della gara per il suo doppio pestello, 
era veramente suggestivo e sembrava quasi uno scettro. 
Ho la fortuna di conoscere Sergio Rossi, cucinosofo, scrittore, gastronomo esperto 
e appassionato della cucina genovese e ligure, ma soprattutto nipote della Regina del Pesto
così ne approfitto per fargli qualche domanda:

Alfonsina Trucco in gara al V Campionato Mondiale di Pesto al Mortaio

- Una banale curiosità: quanti anni ha la regina del pesto? (ho letto tre età diverse sui vari articoli che ne parlano)
Sergio Rossi: 85 compiuti a febbraio.
- Come ha reagito tua zia a questa bella vittoria, essendo alla V competizione: se lo aspettava, si è emozionata?
Sergio Rossi:Lei dice che era abbastanza tranquilla di aver fatto un buon pesto ma, come ha precisato nell'intervista a Primocanale, ovviamente non poteva sapere se i giudici sarebbero stati dello stesso parere.
- Ho letto che il mortaio di famiglia, che si passa di generazione in generazione, abbia fatto il pesto per Garibaldi! E’ vero o si tratta di una leggenda?
Sergio Rossi: La verità è che la mia trisavola era aveva lavorato, a Genova, nella famiglia di Teresita Garibaldi, figlia di Giuseppe e moglie di Stefano Canzio. In famiglia si è sempre raccontato che quando la trisavola lasciò il lavoro di Genova per aiutare la figlia in trattoria, a Tre Fontane, rimasta improvvisamente vedova con 5 figli e uno in pancia, Teresita ogni tanto le facesse visita per mangiare le cose buone che Maria preparava quando era al suo servizio. Credo che il mortaio sia della trattoria, quindi potrebbe aver mangiato il pesto Teresita, almeno da quel mortaio.
- Come sono stati i festeggiamenti? Il paese come l'ha accolta?
Sergio Rossi: L'abbiamo festeggiata la sera stessa nella trattoria di famiglia. Ti svelo un segreto: ho subito avvertito il sindaco della vittoria e credo vogliano conferirle un riconoscimento ufficiale probabilmente nel corso di una inaugurazione. Ma è solo un'indiscrezione, ne saprò di più nei prossimi giorni.
- La tua mamma e Alfonsina immagino che abbiano imparato da bambine a fare il pesto, te ne hanno mai parlato, c’è qualche racconto che ti ha colpito?
Sergio Rossi: Hanno imparato entrambe da piccole solo che mia madre era più portata e appassionata della cucina mentre la zia, che per anni è stata impiegata del locale ufficio postale (sede di Tre Fontane, frazione di Montoggio) si era specializzata soprattutto nel fare il pesto col mortaio, come si faceva allora ed era imbattibile.
- il procedimento che segue, per fare il pesto  è come quello insegnato da Roberto Panizza, Presidente del Campionato (prima si pesta l'aglio, poi i pinoli, poi il basilico con il sale grosso ecc.) o quale?
Sergio Rossi: Sinceramente non ricordo di preciso la successione degli ingredienti ma so di certo che lei non toglie niente dal mortaio, fa tutto in successione. Tieni conto che parliamo di una persona che il pesto lo faceva davvero, non per gioco ma sul serio, e quando la domenica le persone erano tante doveva anche farne parecchio, quindi applicare una tecnica efficace: qualità, velocità, costanza.
- oltre al pesto, qual è la ricetta preferita, che cucina più volentieri, Alfonsina?
Sergio Rossi: Non so quale lei preferisca, ma posso dirti che la sua ricetta che preferisco io è il sugo di magro uguale al grasso, ovvero una sorta di "sugo di carne" fatto però solo con erbe aromatiche, pinoli, olio e un soffritto che non saprei dirti: eccellente con i corzetti polceveraschi.
[che sicuramente devo assaggiare]

Le postazioni dei 100 partecipanti alla gara di pesto


Quindi per gustare il miglior pesto del mondo non dovete andare troppo lontano, 
basta fare un salto a Montoggio (GE), in località Tre Fontane, all’Antica Trattoria Rosin
lo storico ristorante dove da 150 anni la famiglia di Alfonsina 
porta avanti la tradizione gastronomica genovese!!!







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