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La Panissa: umile e squisita

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PANISSA  FRITTA
Per quattro/sei  persone
Ricetta della Tradizione, originaria di:  Savona 
Ricetta Vegana
Senza Glutine
Ingredienti:
300 gr. di farina di ceci
1 litro di acqua tiepida
olio extravergine di oliva
sale fino marino q.b.
Utensili di preparazione e presentazione
una casseruola
una frusta
un mestolo di legno
una pirofila larga e bassa
una padella con i bordi alti per friggere
una schiumarola
un piatto da portata
carta paglia o assorbente
Procedimento per la preparazione
Mettere la farina di ceci nella casseruola e aggiungere gradatamente l’acqua tiepida
 mescolando con la frusta, in modo da non formare grumi, 
unire il sale e mettere al fuoco continuando a mescolare come fosse una polenta. 
Quando si sarà rassodata abbastanza (circa un ora)
e comincerà a staccarsi dalle pareti della casseruola, versarla nella pirofila. 
Lasciare raffreddare (l’ideale sarebbe prepararla il giorno prima); 
tagliarla a fettine formando dei foglietti o dei bastoncini e friggere in olio 
extravergine d’oliva ben caldo. 


Scolare su carta assorbente, salare e servire caldissima.
In alternativa, saltarla in padella con cipollotti freschi,
 oppure servirla tiepida, sempre tagliata a strisce
 con cipollotti crudi affettati, sale, pepe e olio extravergine.


Note:
Ho avuto il piacere di mangiare la Panissa passeggiando a Finalborgo,
  sotto la pioggia, con le amiche blogger, l'ultimo giorno della visita al
Salone Agroalimentare Ligure  , grazie allo Sport&Food Blog Tour
organizzato dalla Provincia di Savona
ed è stato un momento indimenticabile....
Un caldo ristoro che ti fa assaporare le cose semplici della vita!
E’uno dei tanti cibi umili ma nutrienti che fanno parte dei ricordi d’infanzia 
dei nonni soprattutto di Savona e del ponente ligure. 

Foto di Sandra Longinotti

La Panissa veniva consumata in insalata, ancora tiepida, nella pausa pranzo. 
Ancora adesso la polenta di ceci si rovescia  dentro a dei piatti fondi oppure, più spesso,
 in appositi stampini lunghi e stretti  semicircolari di 7-10 cm di diametro.
 Dopo che si è solidificata si estrae e viene chiamata “lista”, 
si taglia a fettine o a bastoncini e si frigge (come fossero delle patatine) 
oppure si serve fredda o tiepida,  a cubetti condita con olio evo, pepe e limone, 
o ancora saltata in padella con olio evo e cipollotti.
Note:
di Gabriella Molli
Panissa, e tutto mi pare moro-saraceno: Siete mai stati a Palermo? E avete mangiato le panelle? 
Beh, non cambia quasi niente fra panisse e panelle: farina di ceci, acqua, sale per l’impasto. 
Che devi preparare un bel po’ prima per farlo riposare. Poi la teglia quadrata o tonda, il fuoco a legna, e il taglio a losanga, seguito dall’olio bollente della frittura. Messe in un morbido panino tagliato in due e via, per strada, mangiando a morsetti quella delizia che sa di Mediterraneo. 
Perché nel sapore di farina di ceci, tanto nella panissa di casa nostra che nelle panelle, c’è storia.
Tanta storia. La panissa quando viene fritta listarelle o a losanghe, condivide con le panelle secoli e secoli di consuetudini gastronomiche tramandate. C’è poi da osservare che anche da noi è rimasta la tradizione del panino tagliato a metà. Ma per la farinata. Così, quando si serve la farinata dentro la focaccia salata (come accade a Sarzana) le distanze diventano davvero inesistenti. 
E quando la focaccia è canonicamente dotata di buchetti in cui è stato versato olio d’oliva e un granino di sale, si aggiunge delizia a delizia.
Un po’ di genealogia dei sapori:
Perché la farina di ceci ha un suo percorso di costa da Palermo a Nizza? Basta pensare ai commerci, agli uomini che si muovono sul mare e con loro le usanze di casa. Osservando le marinerie, si vede subito che ogni porto bagnato dal mar Tirreno e dal mar Ligure (anche la vicina Nizza) ha una sua consuetudine di farina di ceci. Poi, altra considerazione che ci suggerisce l’andar per mare nel Mediterraneo, i fallafel della cucina ebraica tripolina si allineano decisamente con la cucina con la farina di ceci di casa nostra. Sono a forma di pallina, ma anch’essi si friggono. E c’è di più. Contengono cipolla tritata (e in primavera cipollotti teneri). Il che ci ricorda l’uso spezzino e ligure delle nonne di condire la panissa con cipolla tritata a fettine fini fini, condite con olio e sale. Questione di gusto?
Forse. Ricordiamoci  che le cipolle sono simbolicamente legate a temi di protezione dal male. Ricordiamo il culto che ne avevano gli Egizi. E i ceci (e quindi la loro farina)? Pensiamo che nel Rinascimento c’è chi scrive che sono afrodisiaci (Durante). Ma noi sappiamo ora che contengono oltre al quattro per cento di grassi, al sessanta per cento di glucidi, il quindici per cento di protidi. Lo dice Alfredo Cattabiani nel suo “Florario”.     


Leggi anche il post sulla Panissa di Paola Faravelli:
Savona – i lingotti di panissa  





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La Torta Pasqualina

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TORTA PASQUALINA
Per sei persone
Ricetta della Tradizione, originaria di: Genova
Ricetta Vegetariana
Ingredienti per la sfoglia:
300 gr di farina di frumento 00
3 cucchiai di olio extravergine di oliva ligure
acqua tiepida
un pizzico di sale fino marino 
Ingredienti per il ripieno:
8 uova freschissime 
1 kg di bietole (pulite delle coste)
3 mazzi di borragine
300 gr di ricotta (quagliata)
1 grossa cipolla,
maggiorana fresca
2 manciate di Parmigiano Reggiano grattugiato
olio extravergine di oliva
burro
sale fino marino q.b.
Utensili di preparazione e presentazione
la spianatoia
il matterello
un coltello
una terrina
una frusta
un canovaccio
una padella antiaderente
un tegame antiaderente
un cucchiaio di legno
una tortiera con i bordi alti
un pennello da cucina
Procedimento per la preparazione


per la sfoglia:
Disporre la farina a fontana sulla spianatoia, con una presa di sale e l’olio,
  lavorare aggiungendo acqua tiepida sufficiente a ottenere una pasta soda e liscia.
 Lavorala energicamente per 5/10 minuti, poi dividerla in sette pezzi;
 riporre in un contenitore con il fondo infarinato 
e coprire con un canovaccio leggermente umido.
 Lasciare riposare per un’ora circa.
per il ripieno:
Arrotolare bene le foglie di bietola e di borragine e tagliarle il più sottilmente possibile,
 in modo da ricavare tante striscioline. Lavarle, strizzarle e sistemarle nel colapasta. 
Tagliate la cipolla a fettine molto sottili e rosolarlacon l’olio extravergine di oliva, 
a fuoco dolce nella padella con il coperchio; 
girare ogni tanto ed eventualmente aggiungere un po’ d’acqua.
 Stufare nel tegame le verdure con la sola acqua che rimane dal lavaggio, 
senza coperchio, unire alla cipolla stufata , mescolare. 
Insaporire con abbondante Parmigiano grattugiato,  
regolare di sale e unire qualche foglia di maggiorana sminuzzata.
 In una terrina capiente sbattere tre uova con un cucchiaio di Parmigiano grattugiato 
e incorporatevi le verdure e la ricotta.


 Lavorare il composto, amalgamare gli ingredienti e tenerlo da parte. 
Ungete d’olio la  tortiera a bordi alti; 
prendere uno dei pezzi di pasta e stendetelo con il matterello in una sfoglia sottilissima,
 coprire il fondo con questa, facendo sì che debordi dal recipiente.
 Ungere  la superficie della sfoglia con il pennello e l’olio evo 
e ripetete l’operazione con gli  altri tre pezzi di sfoglia,
 man mano che li sovrapporrete uno sull'altro nella tortiera. 


L’ultima sfoglia non va unta. Su questa versate il composto di verdure. 
Scavare nel ripieno, a distanza regolare, cinque fossette nelle quali mettere una pezzettino di burro,
 un uovo fresco intero, delicatamente avendo l’accortezza di non rompere il tuorlo 
e un pochino di parmigiano. Stendere le rimanenti tre sfoglie
 ponendole una a una sul ripieno, sempre ungendole d’olio extravergine di oliva.
 Rigirate all'interno la pasta che fuoriesce dalla tortiera, 
eventualmente tagliarla e formare un bordino,  premendola un poco.
 Pennellate d’olio la superficie e punzecchiatela 
affinché le sfoglie, gonfiandosi, non si scoppino. 
Infornare a 180° e cuocere fin quando non sarà bella dorata, per 45/60 minuti. 
Far raffreddare.
Note:
Questa è una delle molte ricette di questa famosissima torta di verdura.
 La torta Pasqualina è una “Specialità genovese,
 chiamata così perché si usa confezionare nell'epoca della Pasqua. 
Gli elementi principali sono le uova fresche, l’olio fino e le sfoglie sottilissime”.
da – La cuciniera genovese – di Gio Batta e Giovanni Ratto
Le sacramentali sfoglie, tirate magistralmente dalle donne liguri erano un tempo anche 33, in omaggio agli anni di Gesù, adesso sono scese a 10 o 7 come i giorni della settimana Santa;
Essendo squisita e sempre graditissima, viene realizzata durante tutto l'anno
anche con qualche piccola variante al ripieno.



Le foto del servizio sono state realizzate con la torta preparata  
da Daria di  Collina Torre









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Torte di Pasqua in piazza a Tellaro

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Tellaro

Le emozioni di Gabriella
di Gabriella Molli

Tempo di Pasqua 2013, tempo di “Torte in piazza” a Tellaro. Nemmeno la pioggia ha fermato l’iniziativa del gruppo U.S Tellaro (capitanato da Maura Novelli) dedicata alle simboliche torte di Pasqua. Le donne tellaresi infatti, sfidando il tempo uggioso, tutte allegre e sorridenti, hanno portato sotto l’ombrello il frutto della loro arte dolciaria per farlo giudicare da una giuria  formata da un nome prestigioso nel campo della gastronomia “paninara” (Franco Lanata, al secolo Biscotto) e dalla blogger de “Le Cinque Erbe”, Daniela Vettori, studiosa di cucina  lunigianese e ligure, sempre in giro per eventi attinenti il mondo cibo-vino, recentemente premiata a Roma per il suo lavoro regionale. Giuria che chi scrive ha presieduto e che ha deciso di considerare prioritari i segni della Pasqua. Metro per la scelta non facile. Perché se assaggi le tue papille diventano un laboratorio sensoriale, ma quando è l’input estetico a farti da guida, tutto diventa più difficile. Infatti la giuria ha discusso parecchio. 

Cercavamo dunque “i segni”. E pulcini ci sono proprio stati su alcune torte. Dolci, gentili simboli legati alla tematica dell’uovo e della rinascita. Ma a Torte in piazza il simbolo più gettonato è stato il cioccolato, che pare essere oggi il segnale più in voga, non solo perché dà forma al dolce-uovo pasquale, ma anche come scelta del “gusto” odierno della festa di primavera.   
La giuria ha sostato a lungo presso il grande tavolo che ha accolto i capolavori targati “Torte in piazza. Edizione Pasqua 2013”. Stendere un giudizio non è stato facile. Prima di tutto perchè molte torte erano deliziosamente tradizionali (come una pastiera napoletana) e altre hanno puntato in modo artistico decisamente su decorazione e colore. Alla fine, infatti, ha vinto la torta di BRUNELLA FIORI (torta contrassegnata dal numero due) catturando gli occhi per la speciale presentazione, tutta giocata su accenti coloristici che ricordavano artisticamente la primavera.

Sulla torta vincitrice un bigliettino: "Ricciolina - uova, cioccolato, farina, mandorle, burro, noci, zucchero, meringa, lievito". Tutto squisitamente in linea con la Pasqua. Persino la meringa la quale nasce dal bianco d’uovo che attraverso la circolarità del movimento, prende ossigeno e “monta”. Ora ci sembra tutto normale, ma se pensiamo ai tempi in cui si adorava la madre terra, il bianco dell’uovo che si trasformava in uno spumoso velo leggero e bianco, doveva sembrare qualcosa di magico. E che dire delle mandorle anticamente simbolo della nascita e della resurrezione. Ecco i nomi delle altre autrici: Lia e Ambra Azzarini, M. Vittoria Castelli, Luisa Lori, Cristina Tincani, Ida Cabani, Daniela Ridolfi, Giuseppina Baronio, Rosanna Mattera. Alcune addirittura hanno presentato due torte. Queste gare vengono infatti vissute con grande entusiasmo, anche perché le torte vengono poi “vendute” per raccogliere finanziamenti alle tante iniziative che l’U.S. Tellaro porta avanti con successo (vedi sagra del polpo), grazie proprio alla vivacità del gruppo.




Gabriella Molli in giuria a “Tellaro. Torte in piazza” (edizione Pasqua 2013)
con Franco “Biscotto” Lanata e Daniela Vettori  






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Tiàn de anciue

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TEGAME DI ACCIUGHE
con la chef  Daniela Bertola
Ristorante Ripa del Sole
Ricetta della Tradizione, originaria di Vernazza e Cinque Terre
Per quattro persone
Senza Glutine
Ingredienti:
500gr di acciughe freschissime possibilmente di Monterosso
500gr di patate
200gr di pomodori freschi, pelati e privati dei semi
1 spicchio di aglio sbucciato
1 manciata di prezzemolo
 una manciata di rosmarino fresco
olio extravergine di oliva q.b.
sale fino marino


Utensili di preparazione e presentazione
lo sbucciapatate
un tagliere
un coltello
una teglia da forno antiaderente
una terrina


Procedimento per la preparazione
Diliscare, privare le acciughe della testa  e lavarle.
Pelare le patate e tagliarle a dischetti sottili.
Ungere il fondo  della teglia e stendervi le patate in uno strato uniforme.




Stendere le acciughe sopra le patate.
In una terrina preparare una salsa con parte dell’olio evo
 e gli aromi  lavati e tritati con l’aglio; 
salare leggermente.


Cospargere le acciughe, aggiungendo anche i pomodori affettati.
Condire con l’olio rimasto e passare in forno per 30/40 minuti a 200°.


Note
Questo piatto nelle Cinque Terre viene chiamato “Tiàn de anciue” o “Tiàn de Vernàssa
 e gli strati patate, acciughe, pomodori, possono arrivare fino a tre. 
Gli aromi possono essere sostituiti con quelli che preferiamo,
 molti sostituiscono il rosmarino con la maggiorana o l’origano.







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Il Pesto con "Radici & Ali"

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Quando la Francia ha fame, la Palmaria risponde !
Qualche giorno fa una troupe del canale France3TV ha visitato Portovenere e le Cinque Terre 
per  realizzare un nuovo reportage/episodio del loro seguitissimo programma

Si va sull'isola Palmaria
documentari in posti suggestivi, di pubblico interesse sia in Francia che all'estero,  
dove viene data grande importanza alla tradizione (le radici) e all'innovazione (le ali) 
che devono comunque essere sempre in sintonia. 

Portovenere

Perfetto Cicerone in quei giorni di pioggia battente è stato un caro amico, 
l'architetto Gianni De Scalzi, che ha fatto da guida e aperto alcune case di Portovenere ai francesi, facendoli innamorare perdutamente dei nostri luoghi. 


Ovviamente prima di partire non  poteva mancare un sopralluogo sull'isola Palmaria, 
così suggestiva e selvaggia, la più grande delle isole dell’unico arcipelago ligure. 

I corzetti con il timbro in legno per realizzarli

Io e Sandra Ansaldo (moglie di Gianni e curatrice degli Eventi di Slow Food La Spezia )
 abbiamo organizzato uno “spuntino” con una ricetta tipicamente ligure: 
i corzetti al pesto, tutto rigorosamente home made. 


E così, dopo aver chiesto conforto e benedizione  a Roberto Panizza 
(presidente dell’Associazione Palatifini ) sono partita dalla città con il mio mortaio
 e i 7 fondamentali  ingredienti


3 mazzetti di basilico genovese DOP (quello piccolino di Prà );  
1 spicchio d'aglio di Vessalico (IM)Presidio Slow Food e il più delicato; 
30 gr di pinoli di Pisa prima scelta; 
60 gr di Parmigiano Reggiano DOP di 24 mesi grattugiato; 
20 gr di Pecorino Sardo DOP di 15 mesi grattugiato; 
un pizzico di sale grosso marino;  
olio extravergine Riviera Ligure DOP (dolce e maturo). 

Sandra e Daniela all'opera

Helène  e i suoi colleghi, grazie a qualche ora di sole primaverile,  hanno voluto visitare l’isola: 
 gli scorci, le calette, la natura erano così meravigliosi, che la fame è passata per un po' in secondo piano.... morale abbiamo “apparecchiato” affamatissimi  alle 14 e 30
 nella bellissima casa di Sandra e Gianni

La casa con ingresso sulla spiaggia

 ed io non ero emozionata, impacciata, impappinata…DI PIÙ !!! 
Ci hanno spiegato che loro quando “girano” creano una piccola storia, 
dove fanno delle brevi interviste ai protagonisti,  ma non si parla così tanto 
come facciamo noi italiani (beh ma un minimo dovranno spiegare no?) 
Insomma alla fine hanno felicemente  degustato il vero pesto genovese all'isolana
 ed io ho capito che il mio mortaio, anche se pesa tanto,  
non è grande abbastanza !  

Corzetti al pesto







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TrentinRiviera la montagna incontra il mare

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Se sentite il suono del campanaccio e il profumo di basilico, allora siete a #trentinriviera!
In uno dei pochi giorni caldi di aprile (il 17 per essere precisa),  sono stata a Milano
 per assistere dal vivo all'evento #trentinriviera  presso il  Mirror  Lounge & Restaurant 
 del The Hub Hotel  di Milano, organizzato da Carlo Vischi. 

 Rosa del Active Hotel Olympic e Carlo Vischi

In teoria le due regioni “in gioco” si sarebbero dovute sfidare a colpi di mattarelli,
 ma  appena arrivata ho capito che la disputa sarebbe finita in allegria e condivisione. 


Velocemente gli amici del Trenino,  gli Chef Paolo Pellegrin ,  Andrè Sudarovich  
con  Rosa del Active Hotel Olympic di Vigo di Fassa,  Mattia Sicher del Pineta Hotels di Coredo, 
hanno allestito i loro tavoli per lo Show Cooking, nella Lounge dell’Hotel, 
con ogni meraviglia proveniente dalle loro montagne, dal fieno ai campanacci, 
dai formaggi alle mele, ai salumi e alle birre. 


Dal fronte ligure sono arrivati olio e olive biologiche,  i carciofi, le erbe  e gli aromi,  
la focaccia ligure,  la testa in cassetta fatta in casa e poi  le delizie 
come  il chinotto  di Savona e i vini:  il  solare Vermentino (Solarancio) dell’Azienda 
La Pietra Focolare di Ortonovo La Spezia e dal ponente Rossese e  Pigato. 



Mattia Sicher ha realizzato i Talleri, semplici e deliziosi, con un ripieno di erba cipollina tritata
 e Casolet della Val di Sole, formaggio tipico e Presidio Slow Food.  
A fianco a lui la “battuta di carne salada di razza grigia alpina e mele  della Val di Non 
(che tutti avremmo voluto rubare) con ristretto di Teroldego”.


Massimo Viglietti  chef stellato del Ristorante Palma di Alassio, 
ha proposto il suo famoso “Non è l’uovo di Paolo Parisi”,
 con la tapenade di olive nere (con la bottarga nel menu della cena). 

Non è di Paolo Parisi

 Di lui avevo letto  il pezzo “Impressioni sulla tavolozza del gusto di Massimo Viglietti” 
della mia cara amica Gabriella Molli, presente quest’estate ad una cena
 “fuori le righe” al wine bar Piè de Mà di Riomaggiore, 
l’incanto di un angolo di Liguria fra roccia, cielo e mare. 
 Testualmente: - Su “Non è di Paolo Parisi” La citazione del titolo sta fra un omaggio a Parisi e la necessità di un allontanamento dalle celebrità del suo uovo. Comunque sopra l’uovo bianchissimo, delicatamente sapido e strapazzato (appoggiato poi su un tono vagamente acido di robiola)
 c’era la rosea nota imperantemente (e ineluttabilmente) marinaresca 
di un cenno di bottarga di tonno da sciogliere al ritmo terminale (l’atto ultimo) 
di una salsa di pomodoro-arancio-pepe. Sicuramente effetti speciali studiati per stupire.
 Quindi decisamente un piatto di pensiero, perché ognuno viva le sue “papille”. 
E infatti questo ha fatto Massimo con  i suoi  geniali  finger food presentati durante l’aperitivo: 


 lo scoppiettino di pesto, robiola e crema di fagiolini e patate,


 la pizza liquida in siringa con pomodoro, acciughe, olio e origano,


il cucchiaio con ricotta del Santuario di Rezzo, testa in cassetta e macchetto di acciughe, 
 hanno  incuriosito, stupito, divertito! 
La cena ha chiuso l’evento milanese (ci rivedremo tutti  a maggio nella Riviera di Ponente) 
deliziando gli ospiti con piatti nei quali sono stati  sapientemente sfruttati 
 gli ingredienti freschissimi  e le eccellenze dei  produttori locali liguri e trentini. 


Triglia con olive taggiasche e carciofi


Non è di Paolo Parisi: uovo strapazzato, robiola, bottarga di tonno,
 passata di pomodoro e arancio

Gnocchetti di formaggio Cher de Fascia, con salsiccia trentina
 e cicoriette di campo
Abbinamento di formaggi liguri con carpa affumicata dei laghi
trentini, con passatina di mela alla maggiorana e limone
Sacher rivisitata agli agrumi liguri
con chinotto di Savona




I Produttori intervenuti:
l’Azienda Agricola la Cappella di Borgomaro Aurigo con olio e olive biologiche, l’Azienda Rose di Pietre di Pietra Ligure con i carciofi, l’Hotel Bacco di Pietra Ligure che ha portato  in tavola la focaccia ligure, l’ Hotel Mayola di San Bartolomeo a mare con la testa in cassetta fatta in casa e poi  le delizie della Pasticceria Besio di Savona, inoltre  il Chinotto e la Birra Artigianale de ”Il Chinotto nella rete” di Savona e i vini: il Vermentino dell’Azienda La Pietra Focolare di Ortonovo La Spezia e  Rossese e  Pigato dell’Azienda Feola di Diano Marina.I produttori delle Tre Strade del vino e dei Sapori fra cui le carni della Macelleria Dagostin di Trento, i salumi della Macelleria Massimo Goloso di Coredo, i formaggi del Caseificio Sociale della Val di Fassa e del Agritur Fior di Bosco, le birre artigianali del Birrificio BioNoc’ di Primiero, i vini ed il TrentoDOC dell’Azienda Agricola Maso Martis di Martiniano e dell’Azienda Agricola Letrari di Rovereto.






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#INVASIONIDIGITALI

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#INVASIONIDIGITALI

Nella settimana tra il 20 e il 28 Aprile 2013, con il tuo aiuto siamo pronti ad iniziare le #INVASIONIDIGITALI, un progetto ideato da Fabrizio Todisco   in collaborazione con la Rete di travel blogger italiani di #iofacciorete, Officina turistica, Instagramers italia 
e l’Associazione nazionale piccoli musei. 
L’obiettivo è quello di diffondere la cultura dell’utilizzo di internet e dei social media per la promozione e diffusione del nostro patrimonio culturale.
L’iniziativa prevede l’organizzazione di diversi mini-eventi (invasioni) presso musei e luoghi d’arte italiani e si rivolge a blogger, instagramer, appasionati di fotografia e a qualsiasi persona attiva sui social media.


Sabato 27 aprile 2013 invaderemo il  Museo Etnografico "Giovanni Podenzana" 
di La Spezia, in via Prione 156,
alla scoperta di  oggetti e storie della tradizione locale, nella collezione del museo, 
 dei  costumi degli antichi  Liguri, con la proiezione di un video informativo
 sulla storia dell’etnografico e sul territorio della Lunigiana storica, con le sue tradizioni. 
Nella stessa sede potrete far visita  alle raccolte di arte sacra
 del Museo Diocesano.
Grazie anche alla collaborazione con Slow Food La Spezia , che ha la sua sede presso il museo,  
al termine della visita, agli invasori sarà offerto un aperitivo spezzino.
Ci troveremo davanti all'ingresso del museo alle ore 17:00 costo biglietto solo €2,00.
Occorrente:  smartphone, tablet (con la batteria carichissima e l'app Instagram pronta all'uso), oppure  fotocamere o videocamere,  carta e penna, occhi aperti,
 voglia di condividere e sorrisi tutto super carico!!!
Social consigliati: Twitter - Facebook - Instagram - Pinterest - Foursquare
 hashtag  >  #invasionidigitali   #liberiamolacultura  #museoetnograficosp 

SEI UN VIDEOMAKER?
Se sei un videomaker, realizza il video dell'invasione a cui parteci 
e lo caricheremo sul canale youtube.

Unitevi a noi nel condividere quest’esperienza con i vostri amici e con il mondo. Condividere è la nostra parola d’ordine! 
(nel rispetto delle regole che ci verranno indicate all'inizio della visita).
Ci vediamo a La Spezia!
Grazie a Rossana Piccioli che ha reso possibile l’invasione.



Aspettando San Giorgio

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La torta vincitrice n° 2

Aspettando S. Giorgio a Tellaro
 di Gabriella Molli

Video di Maurizio Rivi 


Torte di riso dolci e salate (ma non solo) domenica 21 aprile 2013 a Tellaro. 
Una mattinata di sole e piazzetta Figoli piena di bianchi stand che offrono artigianato
 (belli i gioiellini di Maura Novelli, presidente dell’U.S Tellaro
 e quelli ispirati alla pasticceria). 
E ancora: arte, idee regalo (i giovani di Raftideda hanno mostrato i frutti 
di una splendida attività anche di oggetti da arredo).

Torta n° 1

Ma le torte, che specialità! 
Due salate, come vuole un’antica tradizione tellarese.
 E quattro dolci, seguendo il filone di un percorso che coinvolge
la parte alta a destra del Golfo (Lerici e San Terenzo), 
prosegue sulla costa, toccando Arcola e Vezzano e va verso le colline 
della Val di Magra, con sfumature diverse di uova e zucchero.

Torta n° 3

Cinque le partecipanti al concorso che mi ha visto in giuria 
con Daniela Vettori (questo blog è il suo) che non solo studia le ricette
 della Liguria e della Lunigiana, ma partecipa a eventi 
che coinvolgono la pratica delle mani in pasta e le sfumature esecutive dei piatti, 
specie di quelli che hanno la poesia del verde.
Le sue ricette vegetariane sono facilmente attuabili 
e si propongono come “territorio in tavola”. 

Torta n° 5

Non è stato facile: l’impegno di “giudicare” (si fa per dire) 
la bontà delle sei torte si è legato a una analisi sensoriale attenta perché le cinque “autrici” 
(questa parola non sembri sprecata, ci siamo trovate di fronte a prodotti da forno di  grande eccellenza) hanno lavorato con grande perizia. Ci siamo trovate a disquisire annotando ogni particolare. 


Avremmo voluto poter scegliere una prima torta dolce e una prima salata,
 ma anche poter dare minimi riconoscimenti pari merito per le altre. 
La differenza era così minima che una cottura più croccante
 o la presenza di un uovo in più hanno fatto la differenza.
 Abbiamo lavorato su piccole percentuali, differenze minimali. 
Dicendoci: che peccato non dare un premio a tutte.

Torta n° 4
Ecco i nomi delle partecipanti alla piccola gara di torte di riso per la festa di San Giorgio: 
Daniela Ridolfi, Cristina Tincani, Patrizia Cabano, Rosanna Mattera, Tina Spiga.
 Dovevamo scegliere. Hanno “vinto” Cristina Tincani e Rosanna Mattera. 
 E qui gioca ricordare che Rosanna non è la prima volta che vince. 
Noi preferiamo dire “che si distingue”.
 Per onorare l’impegno preso con l’U.S. Tellaro diciamo loro: brave. 
Ma vogliamo anche dire a tutte le altre “autrici” che gradiremmo pubblicare
 anche le loro ricette in un post a parte. 
Sappiamo che una ricetta è sempre qualcosa di “ricevuto”. Una specie di dono. 
 Fra le “autrici” mi piace citare Patrizia Cabano e la sua torta (che non ha vinto per frazioni di indice) Lei è erede spirituale di mamma Enrica e nonna Renata e zia Amalia.
 E ha tradotto la sua cucina di casa in un piccolo libro 
edito a cura della Società di Mutuo Soccorso di Tellaro, 
andato presto esaurito, ma che meriterebbe una ristampa per portare verso
 Milano, Parma, Brescia sapori e profumi della vecchia cucina di casa tellarese.

Torta n° 6

Le note di Gabriella
 Costituisce un piccolo mistero la consuetudine della torta di riso dolce nell’Est del Golfo e oltre,
verso la Val di Magra e quindi verso il “regno” della torta di riso che è la zona di Carrara.
Si pensi solo al fatto che a Pitelli per la festa di San Bartolomeino si fa dolce 
e a Fossamastra che è in linea diretta in basso sulla costa, si fa salata. 
Come a Portovenere e in tutto l’Ovest del Golfo. Poi subentra anche l’immissione nella torta di riso salata, delle cipolle (Marola e Fabiano Basso) 
o delle zucchine per la festa di San Giovanni a Migliarina. 
Salendo verso l’Alta Val di Vara, ancora torta salata. 
E sotto il monte Dragnone, alla Debbia, Daniela Ferrante continua la tradizione
 del taglio della torta in piccole “losanghe”. 
Un antico modo che ha referenze devozionali dei tempi di un passato assai remoto 
in cui la donna invocava protezione alla Dea Madre.
E la torta di riso dolce per la feste della Madonna, come si spiega? 
Certamente  diffusa dopo il Settecento 
(tutte le piccole chiese degli itinerari mariani sono in barocco ligure) 
porta i segni del riso inteso come bianco-purezza, dell’uovo come simbolo di vita 
e, visto che tutti mettevano anice, contiene qualche retaggio degli influssi orientali. 
Ricordandoci il Mare Nostrum, da cui proviene.









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Buon Compleanno Le Cinque Erbe!

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BUON COMPLEANNO LE CINQUE ERBE!

Un anno fa è nato il blog Le Cinque Erbe, oggi festeggiamo con il superamento dei 30.000 visitatori e un bellissimo conto alla rovescia per le #invasionidigitali domani a La Spezia!
Grazie di cuore a tutti :)))

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I Chifferi

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I CHIFFERI

Per sei persone
Ricetta della Tradizione, originaria di : Finale Ligure
Ricetta Vegetariana
Senza Glutine
Ingredienti:
130 gr di mandorle dolci in polvere
130 gr di zucchero
2 albumi d’uovo
1 cucchiaio di acqua di fior d'arancio
un cucchiaio di olio di mandorle
mandorle dolci a lamelle
Utensili di preparazione e presentazione
una terrina
una frusta
una  sac à poche
un cucchiaio
il pennello da cucina
carta forno


Procedimento per la preparazione
Sbattere nella terrina gli albumi e mescolarli con la farina di mandorle, lo zucchero e l’acqua di fiori d'arancio fino ad ottenere un impasto consistente, come un purè sodo.
Mettere il composto nella sac à poche  e formare delle mezze lune sulla placca del forno,
 ricoperta precedentemente di carta forno leggermente spennellata con l’olio di mandorle; 
 ricoprirle i dolcetti  di mandorle a lamelle.
Far cuocere a calore moderato (150° circa) fino a doratura.


Note:
Ho scoperto i Chifferi quando sono stata a Finalborgo [ Sport & Food Blog Tour  ] ed è stato amore al primo morso, la sera del Blogger Party erano disposti ordinatamente su una bella alzatina e al termine della cena è stato anche offerto il gelato al gusto “chiffero”... L’antica ricetta originale, pare sia stata ritrovata nell’Archivio “Finarium” a Finale Ligure, un codice che riporta ingredienti (pestati nel mortaio) e modo per preparare i chifferi, ma le dosi esatte sono ancora un segreto. 


Chi ripropose in tempi moderni  questi dolcetti tradizionali  fu  Benedetto Ferro, ex navigante con la passione dell’arte pasticcera che  nel 1872 aprì una pasticceria a Finale Marina. L'etimo, di probabile derivazione araba (kefir = luna), nasce  proprio dalla forma di mezzaluna che viene data a questi  squisiti pasticcini a base di mandorle.
Note di Gabriella Molli:
Chiffero. La presenza di mandorle e zucchero mi racconta di dolcezze arabe. La parola pare derivi dal tedesco Kipfel, dolce a forma di mezzaluna ideato da un fornaio viennese per festeggiare la liberazione della città dall'assedio turco nel 1683. La storia spesso si adagia su motivazioni contingenti. Un fornaio sforna dolcetti che simboleggiano gli odiati turchi: forse le cose non stanno proprio così. Questi piccoli dolci dalla forma a mezzaluna della tradizione del Mediterraneo, a base di zucchero e mandorle, erano arrivati con i Turchi ed erano così deliziosi che l’intelligente fornaio pensò bene di continuarne la produzione. Già. E i chifferi che compaiono nella forma di pasticcini (ricoperti di scaglie di mandorle) nel Ponente ligure? La forma a mezzaluna (quella dei Kipfel viennesi) la ritroviamo uguale nella costa della Provenza di mare. Nelle piccole e profumate brioches. Ora, per prima cosa ricordiamoci che l’approdo dei mori-saraceni lì ha battuto molto. E lì vi sono tracce della loro cultura gastronomica raffinata  che spesso in provenzali non vogliono riconoscere. Così vengono porte come autenticità provenzali, specialità che profumano d’Oriente. La stessa cosa avviene in Liguria. Si pensi al pesto genovese. Mandorle e zucchero, acqua d’arancia: i chifferi che hanno incantato Daniela, ci parlano di giardini e di intrighi d’amore del Mare Nostrum. O no?









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Pesto di fave

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MARO’ o PESTUN  DE  FAVE

Per quattro persone
Ricetta della Tradizione, originaria della Liguria
Ricetta Vegetariana
Senza Glutine
Ingredienti:
1 kg di fave novelle fresche (200 gr circa sgranate)
1 spicchio di aglio fresco o di Vessalico pulito
 50 gr circa di pecorino semi stagionato grattugiato
una presa di sale grosso marino
olio extravergine di oliva ligure DOP
qualche fogliolina di menta fresca





Utensili di preparazione e presentazione
il mortaio con il pestello o il frullatore
un coltello
un piattino
un cucchiaio
un cucchiaino
un barattolino per conserve
una terrina
Procedimento per la preparazione


Sbucciare e poi privare del baccello le fave 
(se sono molto piccole e se usate il frullatore potete saltare questo passaggio) 
e metterle nella terrina. 
Nel mortaio schiacciare lo spicchio d’aglio con qualche grano di sale
 e conservarlo a parte nel piattino; 


versare un po’ alla volta le fave pulite nel mortaio e  pestarle, 
aggiungendo nuovamente qualche grano di sale
 (pochissimo perché anche il pecorino è salato)
 e due o tre foglie di menta pulite e spezzettate, 


ruotare il mortaio e schiacciare bene tutto con il pestello, 
fino a ottenere una pasta omogenea. 
Unire un po’ alla volta il pecorino grattugiato e l’aglio, 
(assaggiare per trovare il giusto equilibrio) 
amalgamare e diluire con l’olio evo a filo fino a ottenere una crema densa e morbida. 


 Se non si utilizza subito, trasferire nel barattolino e coprire con l’olio, 
tappare e conservare in frigo (dura qualche giorno).  

       
Note:
Il Pestùn di fave o Sarsa Marò, 
è la terza delle 6 salse classiche e storiche da mortaio nate in Liguria dal 1151 
(la prima è il pesto, la seconda l’aggiadda o agliata), 
per ovvi motivi si può fare solo in questo periodo dell’anno, 
con fave novelle, fresche e molto tenere.
 E’ ottimo sul pane tostato, per condire la pasta 
e si abbina bene anche con la cima o con carni e pesci lessi.   









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Tagliolini con sarsa Marò, dadolata di pecorino e fave novelle

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TAGLIOLINI  CON SARSA MARO’,
 DADOLATA DI PECORINO
E FAVE NOVELLE

Per quattro persone
Ricetta di Le Cinque Erbe
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
300gr di tagliolini liguri (senza uova)
4 cucchiai colmi di Marò o pesto di fave
1 fetta di pecorino toscano DOP
100gr di fave novelle sgranate
pepe nero   
olio extravergine di oliva
sale grosso marino q.b.


Utensili di preparazione e presentazione
un coltello
un cucchiaio
una forchetta
una pentola
uno scolapasta
una terrina
quattro piatti piani


Procedimento per la preparazione
Portare l’acqua a bollore, salare e cuocere i tagliolini. 
Tagliare il pecorino a dadini. Scolarle al dente la pasta e condirla nella terrina con il Marò
 (che dovrà essere a temperatura ambiente), 
aggiungendo eventualmente un po’ di acqua di cottura
 se dovesse risultare troppo asciutta.
 Disporre nei piatti arrotolando su se stessi i tagliolini 
(aiutatevi con forchetta e cucchiaio) e terminare la ricetta con un filo di olio evo,
 la dadolata di pecorino, le fave novelle
 e una macinata di pepe nero.









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Focacce di Liguria

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La focaccia salata alla moda spezzina
 e genovese
di Gabriella Molli



 La focaccia con il sale alla moda di Spezia  o di Genova? Ambedue le focacce sono un mix di tre elementi basilari: farina, acqua, sale. E lievito madre per “crescere”. Come si faceva qualche anno fa la focaccia ? In una teglia possibilmente di rame. Cosa le contraddistingueva? Tanti buchetti sopra, lasciati dalle dita che si sono appoggiati sulla superficie cresciuta, ben gonfia. Buchetti contrassegnati da un goccio d’olio e da un pizzico di sale che nella bocca diventava puro piacere. Così è in tutta la Liguria? No, ogni luogo ha la “sua” focaccia salata. Quando arrivi a Sottoripa a Genova, non puoi resistere di fronte alle pile di quella che è l’emblema della Superba: cibo da strada, cibo che unge le dita e le labbra, cibo che ti dà emozione. E la stessa situazione si ripete con Spezia. Analizzando bene l’origine di questo prodotto da forno, si scopre che in ambedue i casi (spezzina o genovese) ha origini antichissime. Ma effettivamente gli spezzini amano la loro e i genovesi anche. 

Diciamo che con tutta probabilità gli antichi Liguri Apuani hanno impastato farina e acqua salata e ne hanno diffuso l’uso là dove sono passati. Ma parlando di focaccia spezzina o genovese, come non pensare alla donna mediterranea che pestava i semi e usando l’acqua della fonte, formava piccoli tondi ben stirati con le dita da cuocere sulle pietre  calde? La focaccia potrebbe essere arrivata dal Mare Nostrum, anche perché i mori-saraceni hanno battuto tanto nel Golfo che sulla costa genovese. Potrebbe dunque essere un retaggio lasciato da loro. Ma la derivazione della parola (da focus, termine romano) è un racconto di vita legato alla presenza romana (si pensi a Luni). Eppure il sale che anticamente nel Mare Nostrum era qualcosa di connesso con Dio (la stessa religione  cristiana lo collega con la saggezza) ci racconta di antiche offerte devozionali alla dea madre. Dunque, nel momento in cui la donna della costa ligure ha associato il sale dell’acqua di mare all’ impasto di acqua e farina, ha compiuto anch'essa un atto devozionale. E con la stessa religiosità andrebbero mangiate le due focacce (la spezzina e la genovese) per gustare lentamente il sentore dell’olio (per favore, solo d’oliva)  e il gioco operato dal calore del forno (quello a legna lascia tracce tattili sulla lingua). E niente sacchetto di carta bianca. A cosa serve? Meglio un pezzetto di carta-paglia a raccogliere appena l’unto che deve restare presente, perché le dita lo sentano. E’ anch'esso un gioco tattile da grande emozione.       

Linea Verde ... basilico

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Linea Verde ... basilico
puntata del 12 maggio 2013
registrata presso l'azienda "L'Aromatica"
di Sarzana (La Spezia)






















Il pesto di Roberto Cagnoli
[dopo la registrazione della puntata di “Linea Verde”del 25 aprile 2013-04-25]
di Gabriella Molli




Roberto Cagnoli alza il viso con risolutezza di fronte alla domanda: il suo è un pesto biologico? Io e Daniela siamo accanto alla sua casa-laboratorio dell’azienda "L’Aromatica",  nel cuore della Vallata della Magra. Siamo proprio davanti al grande campo riservato alla coltivazione del basilico. E lui risponde: “L’ho diviso in  settori che mi permettono l’avvicendamento, spiega, lo curiamo mio padre e io, ma ci aiuta anche mio cognato. La nostra è un’azienda-famiglia. La coltivazione avviene secondo tradizione in filari, con erogazione filiforme di acqua, serve per non compromettere l’integrità e la bellezza delle foglie. E per evitare l’attacco dei funghi ricorriamo a una filtrazione leggera di acqua e sostanze preventive che non sono tossiche. Teniamo alla nostra salute e a quella di chi compra il nostro pesto. Noi abitiamo qui davanti al campo e respiriamo questa aria”.

Roberto tiene molto a mostrarci il suo laboratorio, lindo e piastrellato di bianco e di verde. “In estate sono sul campo alle cinque – spiega – e alle sette ho raccolto già il basilico. Nelle due ore successive mi occupo della trasformazione”.
Spiega poi minutamente le fasi di lavorazione, tutte connotate da misure igieniche rigorose: persino le cassette verdi che contengono il basilico raccolto, vengono trattate come le pentole di casa. Anche le asciugatrici delle foglioline sono lucide come le stoviglie di una brava massaia. 
Di fronte alla domanda “Quale olio usa per la trasformazione?” spiega: “Non adopero olio extravergine di oliva, ma olio di girasole. Che non si rapprende e permette una lunga conservazione senza ossidazioni”. E sul parmigiano: “Uso il grana padano perché è l’unico che mi permette di mantenere una certa dolcezza al mio prodotto. Io voglio proporre un prodotto dal gusto armonico. Il basilico ha toni minerali amari che gli vengono dal terreno e dalla vicinanza del mare: il grana padano mi aiuta a smorzarli e a ottenere un prodotto molto piacevole al palato”.     








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Torta di Farro

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TORTA DI FARRO
Per sei persone
Ricetta della Tradizione, originaria di : Sarzana
Ricetta Vegetariana
Ingredienti:
200 gr di  grano farro perlato
½ litro di latte intero
3 uova fresche
1 cucchiaio li olio extravergine di oliva
50 gr di parmigiano grattugiato
noce moscata
sale
pepe


Ingredienti per la sfoglia :
200 gr di farina bianca
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
acqua tiepida q.b.
un pizzico di sale
Utensili di preparazione e presentazione
spianatoia e matterello
un cucchiaio di legno
una pentola
un colapasta
una terrina
una frusta o una forchetta
una teglia rotonda antiaderente (diametro 30/35cm)
(eventualmente carta forno)
un piatto rotondo da portata


Procedimento per la preparazione
Far bollire il farro nella pentola; togliere dal fuoco quando è al dente, colare e far raffreddare.
 Intanto mettere la farina a fontana sulla spianatoia, 
unire l’olio evo, un pizzico di sale e acqua tiepida quanto basta ad ottenere una pasta soda, 
elastica e morbida; lasciarla riposare la sfoglia coperta da un canovaccio. 
In una terrina sbattere le uova, unire il latte, il farro, l'olio,  il parmigiano e
 una grattata di noce moscata, mescolare e regolare di sale e pepe. 
Con il matterello tirare l’impasto in una  sfoglia rotonda di circa 40 cm circa di diametro, 
trasferirla nella teglia leggermente unta.  
Versare l’impasto di farro e latte nella teglia, tagliare eventualmente la pasta in eccesso. 
[non preoccupatevi se ne uscirà un po' dalla sfoglia, si solidificherà in cottura] 
Cuocere in forno a 200° per 30/40 minuti, finché non sarà di un bel colore dorato. 
Far raffreddare e trasferire sul piatto da portata.









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Latte Dolce Fritto

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Quel latte fritto mi ha fatto tornare bambina
di Gabriella Molli


Genova, non solo pesce.  Slow Fish 2013  mi ha fatto scoprire gli occhioni del besugo.


 E mi ha dato anche il piacere di tornare bambina assaggiando il latte fritto genovese 
che era una dolce consuetudine anche a casa mia (ad Aulla in Lunigiana) 
per festeggiare un compleanno o la visita di parenti lontani. 
Quindi in casa mia, evento raro, ma molto presente nelle mie memorie gustative. 
Dove l’ho assaggiato? 
Allo stand riservato a Genova Gourmet  e alla sua storia gastronomica. 


Il latte fritto è una dolcezza che io collego con la figura della nonna Filò.
 La mia “recherche” è cominciata annusando quattro frittelline tonde, 
che io non ho collegato alla storia della vecchia cucina genovese, ma alla mia infanzia. 
Un tuffo al cuore quell'assaggio di latte fritto. 
Catturare il profumo è stata la prima cosa che ho fatto.
 Ed era la prima cosa che facevo appena la nonna Filò, 
alla cui gonna stavo quasi incollata mentre preparava il latte fritto, 
mi porgeva la frittellina dolce. 
Stavo piazzata lì ad aspettare con il naso in aria,
 pregustando il momento in cui mi avrebbe allungato, su un piattino di alluminio, 
quella delizia ancora calda. 



Latte dolce fritto
La ricetta di casa mia:

Non ho mai scritto le dosi. 
Nemmeno mia madre lo ha fatto. 
Quindi faccio leva su quello che mi ha raccontato la zia Olga. 
Ingredienti:
farina
latte 
5 uova (4 per l’impasto, uno per indorare)
zucchero semolato
scorza di limone grattugiata
cannella in polvere
pane grattugiato
olio per friggere

E le grammature? Niente: dieci tazze di latte, una tazza di farina,  una di zucchero. 
Questa è la misura empirica raccontata da zia Olga per fare l’impasto. 
 Si parte con latte e farina, poi bisogna aggiungere le quattro uova sbattute con lo zucchero
 (il quinto serve per indorare). Infine per profumare l’impasto, cannella e scorza di limone.
 Quanto basta.  più,  meno. Cuocere il composto a fuoco lieve fino a quando non si solidifica. Sempre mescolando nello stesso senso. "Circa mezz'ora",  diceva zia Olga. 
Poi lo si versa  ancora caldo in una teglia dal bordo basso, nello spessore di 2 - 2,5 cm.
 Livellando la superficie con cura. Quando è freddo si taglia a losanghe della stessa dimensione. 
Le losanghe vengono indorate e si passano con delicatezza nel pan grattato.
Quindi si friggono in olio bollente. Dopo averle scolate sulla carta-paglia  si fanno raffreddare. 
Al momento di servirle,  si profumano con zucchero a velo vanigliato.  


Il profumo del latte fritto alla genovese mi ha portato indietro nel tempo
 a questi gesti di preparazione.
 E ho ripensato alla nonna che mi porgeva la prima frittellina. 
Autentica rarità affettuosa, dico oggi, perché nella nostra vita di nonna e nipote
 non ve ne erano tanti di momenti dolci. Una specie di riservatezza separava i nostri due mondi. 
La nonna Filò non mi abbracciava  mai. Eppure ero l’unica nipotina 
(ed ero in una famiglia con sei adulti troppo preoccupati per la guerra, sempre impauriti e seri).
 E poiché ero un tipetto ribelle, c’erano sempre molte sgridate nella mia giornata. 
Specie della nonna Filò. Ricordo  che una volta ho preso il fazzoletto 
che pendeva dalla taschina del suo grembiule nero, spinta da una gran voglia incontenibile, 
l’ho buttato nel camino (che in casa mia era sempre acceso). All'inferno


Eppure, a distanza di tempo, ora mi vengono in mente altri gesti gentili della nonna: 
la prima frittella di mele, o di fichi binei appena colti. 
Erano rare occasioni, ma quando il mio naso avvertiva il profumo tipico delle fritture dolci
 che si diffondeva nella cucina, mi mettevo lì accanto a lei che stava friggendo
 nella padella di ferro tutta nera, posta sulla stufa economica a cerchi. 


Riflettendo sulle mie sensazioni
Al naso arriva subito la nota del latte combinato con lo zucchero, la farina, il latte e l’uovo. 
Poi il profumo di cannella. Per ultimo, un sentore di limone. 
In bocca percepisco subito netto il gusto del fritto. 
Il croccantino del pangrattato che avvolge la fettina, misto all'olio bollente, 
si combina con latte e zucchero, si fonde e si addolcisce. 
Poi le sensazioni diventano tattili: la scorza di limone rinfresca la mistura. 
La cannella è lieve, quasi lontana.
Riflettendo sulla forma a losanga del latte fritto della nonna Filò
L’impasto del latte fritto genovese assaggiato allo Slow Fish 2013 a Genova
 era stato tagliato a tondi della grandezza di un bicchierino da marsala. 
Mia nonna tagliava invece l’impasto a forma di losanga. 
Questa differenza di forma mi porta a fare considerazioni su altri dolci degustati in Tunisia. 
Sempre a forma di losanga. A Cagliari. A Napoli. A Palermo.
Cosa congiunge questa consuetudine? Devo anche rilevare che Daniela Ferrante, 
che conduce l’agriturismo La Debbia in Alta Val di Vara,
 taglia le sue torte di riso salate in piccoli pezzi a forma di losanga. 
Perché  dice, così facevano le donne del territorio. 


E se ci pensate bene, a Pontremoli, i testaroli prima di essere tuffati a rinvenire in acqua calda, 
vengono tagliati con la stessa forma. Che io dico, a questo punto, sia una forma sacrale. 
Riferendomi con ciò alla simbologia femminile e alle invocazioni ancestrali alla dea madre.
Ora, quindi, per associazione, voglio tornare sulla composizione del latte fritto, 
che si rifà al “bianco mangiare” dei popoli del Mediterraneo. 
Che loro facevano con latte di mandorle e con l’aggiunta di acqua d’arancio.
 Molto in uso come dolce al cucchiaio, ma anche fritto. 
Del resto, chi ci ha insegnato a friggere?      







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Torta Gobeletta

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TORTA  GOBELETTA
Per  6/8 persone
Ricetta di Le Cinque Erbe 
Ricetta Vegetariana
Ingredienti :
300 gr di farina tipo “0”
125 gr di burro a temperatura ambiente
100 gr zucchero di canna 
2 uova freschissime (solo i tuorli)
220 gr confettura di albicocche
(ho usato Fiordifrutta Albicocche bio Rigoni di Asiago)
 latte intero q.b. 
1 cucchiaino raso di lievito vanigliato (facoltativo)
zucchero a velo


Utensili di preparazione e presentazione
la spianatoia 
il matterello 
una terrina
una tortiera da forno (30 cm diametro)
carta forno (2 fogli)
una forchetta
un cucchiaio
pellicola per alimenti
un coltello
un piatto rotondo da portata


Procedimento per la preparazione
Versare nella terrina la farina, unire  il burro a pezzetti  (a temperatura ambiente), 
lo zucchero e i tuorli; impastare velocemente, 
aggiungendo un po’ di latte per amalgamare la frolla; 
formare una palla, avvolgere nella pellicola e mettere nel frigo. 
Far riposare almeno 30 minuti. Estrarre la pasta dal frigo, dividerla in due. 
Stendere il primo disco di frolla del diametro necessario, sul foglio di carta forno 
spolverato di farina ; trasferire la pasta nella tortiera lasciando sotto la carta forno; 
con l’aiuto di un coltello o passando il matterello sul bordo, eliminate la frolla in eccesso. 
Bucherellare un po’ la base della crostata con i rebbi della forchetta, 
con il cucchiaio stendere la confettura. 
Ripetere l’operazione con la pasta restante per ricavare un altro disco
 che dovrà chiudere come un coperchio la torta. 
Sigillare bene tutto il bordo premendo un po’ con le dita
 e forare la superficie con la forchetta per evitare che si gonfi troppo durante la cottura.  
Infornare a 180° per 40 min. circa, finché  la frolla risulterà di un bel colore dorato. 
 Far raffreddare e  spolverare con abbondante  zucchero a velo.


La Torta Gobeletta su Storify:
Quando una torta ligure nasce da un tweet.  
Questa ricetta è stata ispirata dalla foto delle prove di gobeletti (tipici dolcetti liguri),
 per #trentinriviera, alla marmellata di chinotto, 
che la mia amica Patty dei Bagni Virginia ci ha mostrato oggi su Twitter.
Subito sono partiti  RT, tweet, apprezzamenti anche in spagnolo 
"vaya maravilla!!!!tiena algo dentro??" -  mermelada de naranja amarga!! -
"que bondad!!!!! me encanta!!!"
...e così,dato che a Levante questi dolci non si trovano facilmente,
ho fatto una torta molto ligure e molto buona.
Grazie Patty ;)

Note
 di Gabriella Molli
La Gobeletta, storia di un nome ma non solo
In una recente visita nel Ponente Ligure ho appreso che il termine
“gobeletti”, dei famosi pasticcini, deriva da cobeletti
 (che anticamente era la parola con cui si definivano i cappelli piccoli).
E ho appreso anche che la forma attuale di questi dolcini era un tempo un po’ diversa
e per ottenerla servivano due stampini di metallo (un sotto e un sopra).
La gobeletta è quindi una tortina con un sotto e un sopra
 e dentro c’è il ripieno di marmellata di albicocca.
Nel caso specifico i Romani hanno chiamato l’albicocco prunus armeniaca.
Che come dice il termine scientifico sembrerebbe venire dall'Armenia.
Invece no. Dice Alfredo Cattabiani nel suo “Florario” che furono sempre i Romani
a chiamare armenicum malum l’albicocco che invece proveniva dalla Cina.
 A diffonderlo furono gli Arabi, in Andalusia, in Sicilia, nell’Africa del Nord.
E lo chiamarono al-barquq. La pianta trovò uno splendido habitat sulla costa provenzale,
dove i mori-saraceni hanno “soggiornato” a lungo portando i loro giardini e i loro frutti.
In francese albicocca fu prima aubrecot, da cui derivò l’attuale apricot.
E da qui l’italiano albicocca. Quindi la presenza della marmellata di albicocche
nella tortina gobeletta è conseguenza della vicinanza con la costa provenzale.
Si sa, le cucine camminano e sono collegate dal filo rosso di leggi di scambio insondabili
legati a sapori e gusti eccellenti.







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Gasse coi piselli

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FARFALLE  CON I  PISELLI

Per sei  persone
Ricetta della Tradizione, originaria di: La Spezia
Ricetta Vegetariana
Ingredienti per la pasta:
500gr di farina
2 uova
sale
Ingredienti per il sugo:
250gr di piselli freschi già sgusciati
3 pomodori pelati e privati dei semi
1 cipollotto fresco
4/5 cucchiai di olio extravergine di oliva
parmigiano grattugiato
Utensili di preparazione e presentazione
la spianatoia
il matterello
una ruota dentata
una casseruola antiaderente e capiente
un cucchiaio di legno
una schiumarola
un coltello
un piatto da portata



Procedimento per la preparazione
Disporre a fontana la farina sulla spianatoia, rompere al centro le uova
 ed impastare come al solito, con un pizzico di sale. 
Aggiungere eventualmente un po’ di acqua. 
Stendere la pasta con il matterello in una sfoglia dello spessore di 3mm circa,
 quindi tagliarla con la ruota dentata a lunghe strisce di 4cm circa di larghezza. 
Tagliare le strisce in rettangoli lunghi circa 5/6cm e stringerli al centro
 tra il pollice e l’indice, per dar loro la tipica forma a farfalla 
(gassa, stricchetto, papillon).
Lasciarle sulla spianatoia ad asciugare, 
coperte da un canovaccio.


Mettere nella casseruola l’olio evo, il cipollotto tagliato finemente
un pizzico di sale e poi i piselli sgranati; 
far soffriggere a fuoco dolce, poi cuocere per circa 15 minuti,
 bagnando ogni tanto con un mestolo di acqua;
unire i pomodori tagliati a pezzetti,
 far insaporire mescolando, 
 regolare di sale e portare a cottura, con il coperchio.
Tuffare le farfalle in acqua bollente e salata;
 quando saranno cotte, toglierle con la schiumarola
 e passarle nella casseruola per farle insaporire con il condimento di piselli.
Disporre nel piatto da portata 
e terminare con abbondante parmigiano grattugiato.

 Note 
di Gabriella Molli
Dici gasse e parli ligure.
 Già, perché al termine gasse in Liguria è associata una pasta 
che un tempo corrispondeva a un nodo stile marinaro. 
Ed è un tipo di pasta già citata nella Bibbia della cucina genovese: 
la Cuciniera Genovese ossia la vera maniera di cucinare alla genovese 
di Giovanbattista  e Giovanni Ratto, stampata a Genova nel 1893. 
Questa pasta  è fatta a piccoli nodi, o meglio come un cappio, 
che i marinai genovesi chiamavano gassa. 
Ma ci sono anche coloro che fanno derivare gassa dallo spagnolo. 
E tornando alle origini, a forme di pasta araba. 
Le contaminazioni linguistiche dei nomi secondo alcuni studiosi 
deriverebbero dai traffici commerciali. Non è sempre così. 
Le occupazioni hanno portato aria di novità in cucina.
 Tant'è che le gasse della ricetta sono fatte con un piccolo pezzo di forma rettangolare, 
“pizzicato” al centro. Come facevano le donne arabe. 
Le forme della pasta hanno viaggiato con gli uomini, sul filo delle memorie di casa. 
E prima di tutto hanno una loro valenza simbolica. 
Il nodo, per esempio, è l’elemento che determina l’incatenamento  e l’imprigionamento.
 Quindi al di fuori delle spiegazioni marinare sulle gasse, 
è possibile pensare a gesti minimi della donna che crea con la sua pasta una invocazione. 
Gesto che ritroviamo anche nel “pizzico”. 
E si dice anche che anticamente l nodo avesse il potere di proteggere dagli spiriti maligni 
(dal Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze di Corinne Morel). 
Niente nasce mai per caso in una forma, quando c’è una testa di donna. 
Si pensi al raviolo. Al testarolo. Al panigaccio.












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#trentinriviera - Scalando il Mare - prima puntata

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La spiaggia di Pietra Ligure

#trentinriviera - Scalando il Mare - prima puntata
[guidati da Betti, Lara e Patty]

Faccio fatica a riordinare foto e idee per raccontare cos’è stato #treninriviera in Liguria 
e non credo che basterà un solo post. Questa volta abbiamo scalato il mare!
 Si avete capito bene, grazie allaProvincia di Savona ,   insieme ad  amici operatori privati, blogger e produttori  c’è stato un evento unico:  tre giorni nel Ponente ligure,  alla scoperta di luoghi e prelibatezze, con ciaspole, bici e costumi…….   Alla vigilia della partenza già si parlava di dolci tipici e marmellate [ Lo Storify della Torta Gobeletta  ]. Questa volta però non  siamo stati strabiliati dalle creazioni  degli chef stellati come al The Hub per [ La montagna incontra il Mare ], ma dalla cucina tradizionale delle donne liguri e dai prodotti delle montagne del Trentino.

Loano2 Village

 Dopo l’arrivo al Loano2 Village ,  abbiamo passeggiato nel centro di Pietra Ligure,
 nei carruggi [o carugi o caruggi con diverse pronunce a seconda del luogo] 
e nelle piazzette con una guida  "inattendibile", il gentilissimo marito di Patty... 

La composizione vincitrice dell'Infiorata del 19 maggio a Pietra Ligure

Fortunatamente  nella piazza principale,  nonostante il forte vento, 
c’erano ancora delle meravigliose creazioni realizzate la domenica  per “l’Infiorata”.
 Non solo fiori e petali colorati, ma anche limoni, riso, mais e foglie di carciofo 
per queste opere d’arte destinate a sparire purtroppo  dopo poche ore. 

Il panorama che si gode dall'Agriturismo Rose di Pietra

Saliamo in collina e lo stupore alla vista del mare dall'alto si unisce a quello della scoperta
 di un posto incantato: ” Rose di Pietra " un agriturismo immerso nelle rose,
 [varietà storiche Pierre de Ronsard, Ambiance, Gypsy Curiosa,
perfezionate negli anni, e recentemente salvate dall'estinzione]
 nelle tonalità di rosa antico: uno spettacolo per lo spirito e gli occhi...


 ma anche per il palato, perché ci accolgono  con una tavola ricca di piatti
preparati con i loro prodotti biologici.


Torte di verdura, Cipolline ripiene,
Carpaccio di Zucchine Trombetta, Panissa saltata con Cipollotti e Pinoli

Claudia,  la deliziosa padrona di casa di "Rose di Pietra"

 E’ il giorno del mio compleanno e non potevo desiderare di più, 
festeggiarlo in Liguria con tanti nuovi amici  

La ex serra/ mostra permanente/location per eventi

 e la ormai famosa  Torta Gobeletta  

Torta Gobeletta

e un regalo personalizzato per me!!!  Grazie Patty :)))

Cover Le Cinque Erbe @Bagni Virginia

La serata si conclude a Loano, arriviamo giusto in tempo per la processione di Sant'Isidoro.

processione di Sant'Isidoro

 Sulla piazza si preparano i portatori della Confraternita dei Turchini  
[Le cappe, di cui il Marchese Andrea Doria aveva fornito la Confraternita,
erano del colore del mare, come le casacche dei marinai che nel 1571, sotto la guida di suo padre, protetti dalla Madonna del Rosario, avevano riportato a Lepanto la famosa vittoria sui turchi.
Perciò', questo di Nostra Signora del Rosario era il titolo della Confraternita,
e per il colore della cappa, da subito i confratelli furono detti i “Turchini”]


che hanno la divisa dello stesso colore del cielo.
 In Liguria ci sono molte Confraternite [ Foto ] che portano nelle processioni meravigliosi 
e monumentali crocifissi antichi 
[avevo avuto la fortuna di conoscerle a Sestri Levante ad un raduno]. 
Il portatore è dotato di una cinghia particolare per sorreggere il peso
 e deve avere molta forza, resistenza ed equilibrio.

La statua del Santo circondata da ortaggi e fiori

 Rimango colpita dal fatto che Sant'Isidoro è il protettore degli agricoltori e la sua statua
 è circondata da primizie e ortaggi raccolti poco prima dai produttori della zona.
 Meraviglia!        

                                                                                                                                                             --> continua 






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"Benedetta Patata" con Salvatore Marchese

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Può una ricetta di patate suggerire emozioni?
di Gabriella Molli

Può una ricetta di patate suggerire emozioni? Sì.
 E’avvenuto nella biblioteca di Molicciara (Castelnuovo Magra) 
dove si è tenuto un incontro di presentazione del libro “Benedetta patata” 
di Salvatore Marchese,


 edito da Orme Tarka di Franco Muzzio (300 pag., 18€)
La ricetta è di Massimo Bottura del ristorante “Osteria Francescana” di Modena, 
grande amico dello scrittore enogastronomo Salvatore Marchese.

Salvatore Marchese scrive la dedica sul mio libro :)

Dicevo sì, se la ricetta di patate diventa momento teatrale, 
attraverso una lettura di particolare charme. 
La voce recitante è stata quella di Luigi Camilli, 

Gabriella Molli e Luca Camilli

noto avvocato che si muove con il suo gruppo
 fra teatro di parola, poesia, letteratura e  ricerca storico-musicale, 
con piccoli spettacoli di nicchia.
Su gentile concessione dell’editore e dell’autore, ecco una ricetta da grandi emozioni, 
tratta dal libro “Benedetta patata”.

La patata in attesa di diventare tartufo
di Massimo Bottura

Per il demi soufflé
12 tuorli
80 gr di zucchero
70 gr di farina di mandorle di Noto
40 gr di farina
50 gr di farina di nocciole del Piemonte
200 gr di cioccolato bianco
100 gr di purea di patata di Montese cotta sotto sale di Cervia
200 gr di burro di vacche bianche
12 albumi
Tartufo scorzone tritato

Preparazione
Pulire le patate lavandole bene.
Asciugarle e adagiarle in una teglia da forno cosparse sopra e sotto di sale.
Cuocere, come un branzino, a 180° per 40 minuti circa.
Ripulire dal sale e lasciarle intiepidire.
Sezionare la parte superiore in lunghezza.
Svuotare  aiutandosi con un cucchiaio, facendo attenzione a non incidere la pelle sottostante.
Spolverare con la farina di nocciole e tostare un paio di minuti in forno.
Montare i tuorli e lo zucchero, aggiungere la farina, 
mescolare e incorporare il burro e il cioccolato fuso a bagnomaria in casseruola
 e la metà della patata accuratamente setacciata.
Amalgamare a aggiungere il tartufo.
Incorporare delicatamente gli albumi montati.
Colare l’impasto all’interno degli “scheletri” delle patate. 
Cuocere in forno a 200° per 9 minuti.
  
Per lo spirito di  vaniglia
400 gr di panna
100 gr di latte
4 tuorli
100 gr di zucchero
1 stecca di vaniglia del Madagascar
metà scorza di limone
100 gr di tartufo bianco d’Alba

Procedimento
Portare a temperatura il latte, la panna e la scorza di limone in una casseruola.
Montare i tuorli con lo zucchero e incorporare l’infuso caldo,
 passato al colino e la bacca di vaniglia adeguatamente aperta.
Portare il composto a 85° continuando a montare energicamente, 
dopodiché raffreddare velocemente in abbattitore.
Inserire il composto nel sifone e caricare con il gas (azoto).
Far riposare in frigorifero 12 ore.
Servire il soufflé caldo accompagnato a lato dalla spuma fredda
 e una generosa grattata di tartufo bianco d’Alba.

Con Marco Rezzano ( Delegato AIS La Spezia) si pensa all'abbinamento
di un vino per la ricetta di Massimo Bottura

Come indicano gli ingredienti, la ricetta è un viaggio attraverso prodotti eccellenti 
da Nord a Sud della penisola. Un viaggio per gastrolettori raccolto in un libro
 che Salvatore Marchese ha pensato e scritto con la sapienza di un esperto
 che “pensa con lo stomaco” e “mangia con la testa”. 
E che porge attraverso le 150 ricette del libro, 
le sue emozioni e il suo cuore di uomo nato nella Lunigiana storica (Castelnuovo Magra)
 ma che porta nelle vene anche sangue siciliano e gusti mediterranei. 
Di una cucina del sole.

Francesco e Salvatore Marchese con Gabriella Molli


E per ultimo ecco il menu di una cena-omaggio alla patata, 
tenuta al Mulino del Cibus in onore di Salvatore Marchese.

Pane di patate
Marocca di Casola
guarniti con salsiccina fresca di Adò
e grani di pepe rosa

Crema di patate
e muscoli del Golfo
al profumo di basilico

Gnocchi di patate
al sugo di noci

Polpo soffocato
alla moda di Tellaro
con patate
condito con salsa cruda
mediterranea:
capperi,
olive,
pomodoro,
scorza grattugiata
di arancia
e di limone,
basilico,
prezzemolo,
aceto di mele,
olio extravergine

Dolce chiusura
con frittelline di patate
su crema chantilly
a forma di stella di mare
e frammenti di cioccolato.


Foto ibs.it






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